L'ALTRO CASO«Mancano i concreti elementi per sostenere che i delitti evidenziati nella richiesta di confisca abbiano generato profitti», ancora un volta il giudice, terzo, ha bocciato la richiesta di maxi confisca formulata dalla Procura sul patrimonio mobiliare e immobiliare della famiglia nomade dei Levak. Nella sostanza non basta dire che la storia dei Levak è quella di una famiglia criminale, bisogna anche dimostrarlo non con ipotesi ma con fatti (i soldi di quella rapina sono serviti a comprare quella casa). La ricchezza dei Levak, stimabile tra i 6 e poco meno di 10 milioni di euro, va dimostrato essere frutto di attività criminali. Per bocciare la richiesta della Procura, i giudici, attesa la pronuncia della Corte Costituzionale, hanno esaminato ogni singolo atto. Poi la decisione che suona come una pietra tombale. «Può essere, ammettono i giudici, che il patrimonio illecito dei Levak non sia mai stato tassato ma l'evasione fiscale non giustifica la richiesta di confisca». E se per il pm De Donà le imprese imprenditoriali dei Levak nell'edilizia, nel commercio di autoveicoli usati e nella doratura di oggetti sacri sarebbero state solo un grimaldello, per attività più redditizie come furti, estorsioni, truffe e sequestri di persone ai danni di prelati. Quindi per la Procura il patrimonio dei Levak è costruito su attività criminali e va confiscato. Ma il Tribunale, nel rilevare che nella maggior parte dei casi le denunce non sono approdate a condanne, chiarisce che non è sufficiente la presunzione di colpevolezza. «Non ci sono prove - dicono i giudici - che le attività criminali abbiano generato i profitti».
IL QUARTO CASOAnche all'altra grande famiglia nomade di Treviso, quella dei Baricevic, il pm Mara De Donà e la Finanza, per il frutto delle truffe delle auto, ha contestato il sequestro di oltre 300mila euro sulla base della normativa antimafia. Il patrimonio dei Baricevic sarebbe frutto di quelle truffe e di altre attività criminali. Con quei soldi i Baricevic - per la Procura - avrebbero comprato case e oro. «I beni -spiegò l'avvocato Zambon- vennero acquistati quando sia Stjepan che Ivan Baricevic erano incensurati. La casa? Un dono della madre dell'ex moglie di Stjepan a Musano».
Roberto Ortolan
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