Gli hanno revocato il programma di protezione. Un provvedimento che - qualora diventasse definitivo - rimetterebbe nel circuito penitenziario ordinario in personaggio legato indissolubilmente alla cronaca nera dell'ultimo trentennio a Napoli.
Parliamo di Salvatore Lo Russo, ex boss della camorra cittadina, ras di Miano per anni ritenuto a capo delle piazze di spaccio dell'area nord, prima di passare a collaborare con la giustizia e diventare un punto cardine in decine di processi per fatti di camorra e omicidio: per lui è arrivato da qualche giorno il provvedimento di revoca del programma di protezione che gli era stato concesso, ormai dieci anni fa, dopo aver ufficializzato la sua scelta di collaborare con la giustizia. Una doccia fredda per l'ex boss.
Una svolta non da poco per l'ormai pentito capo, che nasce da una istruttoria della commissione centrale del ministero dell'Interno, che si occupa dei collaboratori di giustizia, sulla scorta di quanto avvenuto in un altro procedimento penale che ha visto coinvolto lo stesso Lo Russo: parliamo del processo per il quale l'ex boss dei cosiddetti Capitoni di Miano è stato condannato per aver calunniato il primo dirigente della Polizia di Stato ed ex capo della Squadra Mobile di Napoli, oggi numero due dell'agenzia che coordina l'intelligence interna, Vittorio Pisani.
Stando a quanto emerge dal provvedimento del Ministero, le cose sono andate in questo modo: diventata definitiva la condanna per calunnia, la commissione centrale ha disposto la revoca del programma di protezione.
Ma quali sono i punti per i quali Lo Russo è stato condannato per calunnia? Raccontò di aver dato 160mila euro all'ex capo della Mobile, in un rapporto da confidente riservato al poliziotto.
Una circostanza smentita dai riscontri processuali, al termine di un processo nato da una denuncia dello stesso Pisani (era assistito dagli avvocati Vanni Cerino e Salvatore Nugnes).
E dunque l'ex boss del clan dei Capitoni diffamò il capo della Squadra Mobile della Questura di Napoli. Lo definì un corrotto, sostenendo ai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, di avere intascato mazzette pur di ottenere in cambio soffiate utili a mettere a segno blitz contro la camorra. Bugie. Menzogne. Calunnie che i giudici hanno ritenuto gravissime, anche in considerazione del fatto che pure costarono ad un poliziotto di rango qual è Pisani una misura cautelare. Ma l'ex capo della Mobile ne uscì a testa alta. Lo Russo venne condannato con una sentenza di primo grado - firmata dal giudice monocratico Bruno Pezza del Tribunale di Benevento - poi integralmente confermata anche in appello.