Romeni d'Italia, tra stereotipi e pregiudizi

Romeni alla stazione Tiburtina (foto Francesco Toiati)
di Roberto Bertinetti
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Venerdì 27 Marzo 2009, 13:52 - Ultimo aggiornamento: 13:55
ROMA (27 marzo) -La diffidenza reciproca, dicono i sondaggi pi recenti. E se negli italiani si rafforza l’idea che i romeni emigrati siano in larga parte criminali, a Bucarest ci vedono come un popolo di intolleranti e  di razzisti. A far impennare l’ostilità durante gli ultimi due anni, almeno da noi, sono stati gravi episodi di cronaca nera. Che in Romania giudicano con severità, aggiungendo che però non possono compromettere l’immagine di una intera nazione. Ma la convivenza, almeno per ora, resta difficile. Sono un milione i romeni che si sono trasferiti nella penisola e rappresentano la prima comunità straniera. A loro dedica un analitico rapporto l’antropologo Pietro Cingolani in uscita oggi per Il Mulino (Romeni d’Italia, 305 pagine, 26 euro), di cui anticipiamo un brano, frutto di una lunga ricerca che lo ha condotto a Marginea, un villaggio situato a pochi chilometri dalla frontiera con l’Ucraina, dove il quaranta per cento dei dodicimila residenti ha scelto di trasferirsi in Italia.



Gli stereotipi, precisa lo studioso, costituiscono una barriera che certo non favorisce la reciproca integrazione. Perché se si prescinde dall’emotività delle opinioni pubbliche e dai casi criminali in cui i romeni sono stati protagonisti in Italia, il livello di integrazione appare buono. Tenendo conto in particolare delle difficilissime condizioni di partenza di un popolo che dopo la fine dal sanguinario regime comunista di Ceausescu ha dovuto fare i conti con una crisi gravissima sotto il profilo economico e sociale e lo ha costretto a fare i conti con un’insicurezza per il futuro che lo ha spinto in larga misura alla fuga di massa verso l’Europa più ricca, resa più agevole dopo l’ingresso nel 2007 della Romania nella Unione Europea allargatasi verso Est.



Anche l’Italia, intanto, ha cercato di cogliere opportunità in Romania grazie a un costo del lavoro basso (lo stipendio medio di un operaio è di 350 euro) che ha favorito molte delocalizzazione produttive e investimenti delle grandi aziende: sulle bollette energetiche di Bucarest o Timisoara c’è il marchio Enel, molti distributori sono di proprietà Agip, i voli che in numero crescente (ora sono oltre trecento a settimana distribuiti su oltre venti scali) collegano i due Paesi vedono un’importante ruolo di Alitalia, le banche italiane non si sono certo risparmiate prima della crisi investendo capitali negli istituti di credito locali ora in difficoltà.



Le tante storie raccolte e raccontate da Pietro Cingolani, che ha fatto per molti mesi la spola tra Marginea e le città italiane dove i romeni si sono trasferiti da quel microscopico villaggio, offrono uno spaccato in presa diretta del fitto reticolo di legami e memorie che ormai collegano l’Italia e la Romania che, dice, non può e non deve essere rovinato dai crimini commessi da un numero esiguo di criminali.

 

Perché, conclude, i romeni d’Italia sono in larghissima parte persone oneste che si trovano a fare i conti con lo spaesamento causato prima dalla fine del mondo contadino al quale appartenevano, poi dalla violenta modernizzazione di stampo comunista e, infine, da una forzata migrazione per fuggire da orribili condizioni di povertà. Forte della sua esperienza, Cingolani sottolinea con forza che i pregiudizi nei confronti dei romeni sono in larga parte infondati. Al pari di quelli di tanti romeni nei confronti degli italiani, aggiunge. Perché la piena integrazione, oltre che necessaria, è possibile, anzi a portata di mano.