Il garante dei detenuti del Lazio: «Dl carceri, per svuotare le celle serve l’indulto»

Stefano Anastasia, il garante
di Valeria Di Corrado
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venerdì 9 agosto 2024, 07:00

«Bisogna discutere con un minimo di serenità e obiettività della necessità di un provvedimento di clemenza come l’indulto. Nei decenni passati l’Italia ne ha abusato, adesso non ne fa uso nemmeno quando è indispensabile». Stefano Anastasìa, dal 2016 Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale per la Regione Lazio, traccia la strada da percorrere per provare ad uscire dall’emergenza in cui si trovano le nostre carceri.

Cosa pensa del decreto legge approvato mercoledì dalla Camera con 153 sì?

«Contiene misure condivisibili ma che non centrano a pieno l’obiettivo della necessità e dell’urgenza: ossia ridurre il numero delle presenze in carcere, facilitando innanzitutto l’uscita delle persone che hanno condanne minori o hanno scontato quasi tutta la loro pena. Questa scelta non si è voluta fare perché si è detto “no” agli indulti mascherati, ma io penso che i provvedimenti di clemenza - tra l’altro previsti dalla Costituzione - se servono vanno adottati senza neanche mascherarli. Non si è voluto adottare nemmeno una misura necessaria prevista dalla famosa proposta di Roberto Giachetti: la liberazione anticipata speciale, che aumenta lo sconto di pena per chi si comporta bene in carcere e quindi facilita l’uscita di chi è a fine pena. Da questo punto di vista per me il decreto è insufficiente, e credo sia questa la ragione dell’improvviso vertice a palazzo Chigi di ieri (mercoledì, ndr), in cui noi garanti siamo stati convocati dal ministro Nordio. Un vertice che andava fatto prima dell’approvazione del decreto e che credo sia la conseguenza del richiamo del Presidente della Repubblica di qualche settimana fa. Il governo forse ha preso coscienza che deve fare qualcos’altro, che questo Dl non basta. Spero il vertice preluda a iniziative ancora più efficaci».

Quali sono gli effetti immediati che produrrà il decreto?

«Al momento l’unico effetto immediato è la facoltà concessa ai direttori degli istituti penitenziari di riconoscere ai detenuti un maggior numero di telefonate con i propri familiari. L’attuale regolamento concede infatti 10 minuti alla settimana, una modalità di comunicazione che ricorda il tempo delle cabine telefoniche e dei gettoni. Poi ci sono altre previsioni i cui effetti, però, si misureranno nel tempo. È prevista l’entrata in organico di un contingente di personale di polizia penitenziaria. Ma questi mille agenti di cui si parla nel decreto saranno assunti tra il 2025 e il 2026. Poi c’è l’albo delle comunità e delle strutture residenziali idonee ad accogliere persone che potrebbero godere di misure alternative al carcere ma non hanno un domicilio. Si è deciso di istituire questo albo presso il dicastero della Giustizia, ma deve essere ancora disciplinato da un decreto ministeriale. Prima di un anno non si porterà a termine. Tra l’altro le risorse stanziate per l’inserimento in queste strutture sono modeste rispetto alle necessità e coinvolgeranno solo 206 persone, un numero residuale.

Qual è la stima del sovraffollamento nelle carceri?

«Noi oggi abbiamo 61.500 reclusi a fronte di una capienza effettiva di 47mila posti; quindi abbiamo 14.500 detenuti in più di quanto gli istituti penitenziari possano ospitare e una carenza di decine di migliaia di agenti. Se noi avessimo un provvedimento di amnistia-indulto anche solo di due anni, quindi per le pene o i residui di pene inferiori ai due anni, non avremmo più il sovraffollamento e sarebbe molto più facile riorganizzare il sistema penitenziario. Un provvedimento di amnistia-indulto richiede però un’assunzione comune di responsabilità di maggioranza e opposizione, per ottenere il quorum previsto dalla Costituzione. Nel 2006 l’allora premier Romano Prodi e l’allora leader dell’opposizione Silvio Berlusconi acconsentirono a che ci fosse un indulto votato dall’una e dall’altra parte».

Quanto pesa il sovraffollamento sull’escalation di suicidi?

«In queste condizioni le fragilità passano inosservate. Se gli operatori sono adeguati rispetto al numero dei detenuti, si riesce a intervenire in tempo. Senza contare che il sovraffollamento crea condizioni di vita inumane: a Cassino ho trovato 7 persone chiuse nella stessa cella. Siamo già a 62 suicidi dall’inizio del 2024, un numero che in passato si raggiungeva alla fine dell’anno».

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