Sarebbe naturalmente aperta l’alternativa, già sperimentata in Italia e attualmente operante in Germania, di una coalizione fra i socialisti e i Ciudadanos (cioè dei Cittadini), il partito conservatore che ha eroso una forte quantità di voti al Partito Popolare.
Si poteva con questo aprire per i Ciudadanos la possibilità di assumere responsabilità di governo e sostituire con questo il tradizionale ruolo del Partito Popolare. Quest’ipotesi contava su prospettive non certo impossibili, dato che si trattava di mettere insieme differenze e somiglianze non più distanti di quelle del caso germanico. Invece Alberto Rivera, leader dei Ciudadanos, ha preferito battere una via sempre più radicale. Come acutamente ha recentemente commentato Enric Juliana su La Vanguardia, il leader dei Ciudadanos fino a pochi mesi fa parlava come Macron ma ora, con l’obiettivo di catturare i voti degli spagnoli esasperati, parla come Salvini. L’alleanza di modello germanico sembra quindi definitivamente tramontata, travolta dalla necessità di questi nuovi movimenti di abbracciare tesi sempre più estremiste e polarizzanti.
I partiti spagnoli hanno ora tempo fino al 22 settembre per trovare un possibile accordo, in mancanza del quale si dovrà procedere a nuove elezioni. Una prospettiva non certo seducente perché la Spagna ha già avuto quattro competizioni elettorali negli ultimi quattro anni, senza contare le elezioni europee e le molte delicate competizioni regionali. La società spagnola è stanca di nuove elezioni e nessun partito dichiara di volerle, anche se tutti si preparano facendo i calcoli su quale potrebbe essere il loro possibile esito.
In tutto questo labirinto di obiettivi e di interessi la Spagna, a differenza dell’Italia, ha tuttavia sempre tenuto come punto fermo lo stretto rapporto con l’Unione Europea e il dialogo diretto con Parigi e Berlino. I frutti sono già arrivati ed il ruolo di “ministro degli Esteri dell’Ue” è ora affidato allo spagnolo Borrell, che sostituisce l’italiana Mogherini. Probabilmente non era questo l’obiettivo del Primo Ministro Sánchez, che avrebbe forse preferito il socialista Timmermans come presidente della Commissione e un dicastero economico per la Spagna ma, intanto, il processo di sostituzione della presenza italiana a Bruxelles, da parte della Spagna, procede tanto nelle cariche ufficiali quanto negli incontri informali ma decisivi per il nostro futuro che si svolgono quasi quotidianamente fra capi di Stato e di governo.
Pur nella sua difficile transizione politica la Spagna non sta quindi pagando il prezzo dell’isolamento dalle grandi famiglie europee che sta invece danneggiando l’Italia. Nessuna rilevanza viene infatti da noi riservata alle nuove nomine dei vertici dei vari rami dell’amministrazione delle istituzioni europee, diligentemente spartite fra i rappresentanti dei grandi tradizionali partiti europei che hanno insieme prevalso nelle ultime elezioni. Non ci si deve certo sorprendere che in questo processo gli italiani paghino il proprio isolamento vedendo la nostra presenza indebolirsi anche nell’amministrazione, così come è stata ormai emarginata nel Parlamento e nel governo europeo.
L’osservazione pur critica e preoccupata dell’attuale momento politico spagnolo ci deve quindi spingere a riflettere sul fatto che la Spagna, nonostante le difficoltà, sta dimostrando che nessuna divisione politica deve prevalere sugli interessi comuni.
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