Stop alla tecnocrazia ora decide la politica

Stop alla tecnocrazia ora decide la politica
di Alberto Gentili
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Giovedì 16 Novembre 2017, 08:30
Il vento sembra girare. Per anni, soprattutto dall'entrata in scena della moneta unica e dei controlli ossessivi dei bilanci nazionali, l'euroburocrazia ha contato più della politica. Il Parlamento europeo decideva linea, varava norme ma la Commissione di Bruxelles le applicava a piacimento. Un po' come ha tentato di fare la Vigilanza della Banca centrale europea sui Non performing loans (Npl), i crediti deteriorati nei bilanci delle banche italiane, con Danièle Nouy. Salvo andare a sbattere contro il muro alzato da alcuni governi nazionali e dal presidente dell'Europarlamento, Antonio Tajani. E ingranare la retromarcia.

Insomma, la politica torna a farsi sentire. Batte un colpo. Il premier italiano Paolo Gentiloni, al pari di Tajani, sostiene che a decidere debbano essere i governi e i Parlamenti eletti scelti ed eletti dai cittadini, non i tecnocrati. E' più importante il benessere delle persone che la perfezione di numeri e conti. Per ridare slancio e futuro all'Unione europea. Soprattutto, per mettere un freno ai partiti populisti che gonfiato il petto in mezza Europa.

Tajani, durante l'evento del Messaggero «Obbligati a crescere, Europa dopo Brexit», non è andato per il sottile: «Ci sono problemi tra le istituzioni e i cittadini. Se i cittadini europei non credono nelle istituzioni e non credono nell'Unione, se manifestano il loro malcontento votando per i partiti populisti, un motivo c'è». E quel motivo, secondo il presidente dell'Europarlamento, è politico: «I cittadini chiedono di essere protetti dalle istituzioni nel momento in cui sono costretti ad affrontare crisi che li spaventano.

La ferita della disoccupazione giovanile innescata dalla crisi, il numero degli immigrati illegali che cresce continuamente, il rischio del terrorismo che non è affatto estinto, provocano disaffezione. A questa disaffezione si risponde restituendo un ruolo centrale alla politica. I cittadini non vogliono che siano i tecnocrati, funzionari che hanno vinto un concorso ma non eletti da nessuno, a regolargli la vita».

Ed ecco il rilancio di Tajani, anche in risposta all'offensiva (sconfitta) della Vigilanza della Bce sulle sofferenze bancarie: «Le regole devono essere decise dai legislatori, dal Parlamento e dal Consiglio europei, non dai funzionari il cui compito è applicare quanto stabilito dalle istituzioni elette democraticamente. L'equilibrio dei poteri è fondamentale. Il potere deve rimanere nelle mani dei cittadini». Solo così «si tira fuori l'Europa dal guado».
Molto simili linea e concetti esposti da Gentiloni. Il premier rivendica di aver «rispettato le regole». Di essersi battuto, insieme a Matteo Renzi, «per renderle più umane e più flessibili». E lancia un altolà alla Germania e al fronte del rigore ancora ben vivo: «Non abbiamo bisogno di regole asimmetriche che mettono i riflettori sul deficit e dimenticano di far luce sul problema del surplus» commerciale. E puntando l'indice contro la Vigilanza Bce: «Dobbiamo evitare regole che invece di favorire la stabilità, reintroducono fattori di instabilità. Dietro a questa discussione sul cosiddetto Addendum sui Npl c'è un punto essenziale: «Abbiamo bisogno di consolidare un percorso in atto, non di seminare crisi e instabilità. Mi dispiace che qualcuno pensi che questa sia la strada per impartire lezioni».

Insomma, basta regole cieche e stupide, avanti con le scelte della politica sottoposta al giudizio (elettorale) dei cittadini. «La crescita va incoraggiata», afferma il premier Gentiloni, «non ingabbiata». E guardando al futuro, all'Europa che potrebbe venire, il premier aggiunge: «Ben venga il ministro delle Finanze europeo, ma deve essere il responsabile di una politica e di un bilancio comune, deve avere un rapporto politico con il Parlamento europeo. Non abbiamo bisogno di un controller con un nome diverso che va a spulciare i bilanci dei Paesi dell'Eurozona». Ancora e per finire: «Occorre investire nei beni comuni come la sicurezza, la difesa, i grandi investimenti transnazionali. E bisogna farlo al di fuori delle» cieche regole, «del patto di stabilità».

Per favorire la crescita. Per restituire benessere ai cittadini. Quel benessere che non è stato, finora, il primo pensiero dei burocrati che affollano i palazzi delle istituzioni europee. Dove, negli anni che abbiamo alle spalle, è stato scandito un solo slogan: «Rigore contabile». E le briciole di «flessibilità» sono state strappate dalla politica, quando ci è riuscita, con le unghie e con i denti.