Angelo De Mattia
Angelo De Mattia

Ipotesi commissario/ Il caso dell’Ilva e il ruolo chiave di Palazzo Chigi

di Angelo De Mattia
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Mercoledì 10 Gennaio 2024, 00:00

È lontano il ricordo della costituzione, ad opera dell’Iri e della Finsider, agli inizi degli anni Sessanta, del centro siderurgico di Taranto, inaugurato nel 1965. Doveva essere, e per un certo tempo fu effettivamente, una delle iniziative per l’allora auspicata industrializzazione del Mezzogiorno, anche come risposta a chi riteneva che il problema dell’economia meridionale poteva essere risolto solo con la migrazione di lavoratori al Nord, nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova. Una nota economista inglese, Vera Lutz, aveva insistito, con alcune pubblicazioni, su questa linea. Fu, insomma, il polo di Taranto, un saggio dell’intervento pubblico in economia e del rapporto che allora si concepiva tra Stato e mercato. Gli sviluppi furono come quelli complessivi dell’Iri: in una fase iniziale, positivi, poi sorsero problemi nella competitività, nel rapporto con il territorio, quindi i passaggi di proprietà. Già negli anni Ottanta del Novecento il polo entrò in crisi. Nel 1995 l’Italsider di Taranto, con la privatizzazione, fu acquisita dal gruppo Riva. Le più stringenti regole europee su concorrenza e libero mercato contribuirono a questa decisione che alcuni commentatori ritennero essere una svendita (4 mila miliardi di lire). 

Si consolida così una storia che è esemplificativa dell’evoluzione del ruolo pubblico verso la fase delle privatizzazioni, con interventi di autorità pubbliche e partiti, con le degenerazioni che vicende similari finiscono con il registrare non solo sul piano dell’economicità e della tutela dell’occupazione, ma anche nei rapporti con gli enti pubblici territoriali, fino a quando diventa cruciale la questione ambientale con l’esigenza di tutela della salute e del contesto ecologico, da un lato, del mantenimento e dello sviluppo della produzione e del lavoro, dall’altro. Per molti versi è la storia di fallimenti nei diversi versanti, accanto a ineludibili salvataggi e a mutamenti della “governance”. Certo, non era e non è facile un tale bilanciamento, ma neppure lo si è tentato negli anni con grande impegno e determinazione, mentre poteri pubblici diversificavano i propri obiettivi, fino all’intervento della magistratura e l’entrata in conflitto con le amministrazione, con una posizione non convergente delle forze di lavoro alle quali si prospettava e si prospetta la grande incertezza del futuro proprio, delle proprie famiglie, del territorio. Iniziative e procedimenti penali, l’ipotesi del disastro ambientale, la numerosità dei casi di danni alla salute prodotti dall’inquinamento tengono banco, ma l’esigenza del lavoro non può essere sottovalutata, come quella di una riconversione che rappresenti un sia pur difficile equilibrio tra queste due necessità.

Si arriva all’intervento di ArcelorMittal che, nel frattempo, ha il 62 per cento di quella che da ex Ilva è ora denominata Acciaierie d’Italia spa, mentre la mano pubblica, Invitalia, detiene il 38 per cento.

In presenza di rischi di danni irreversibili, il punto cruciale per adesso è assicurare la continuità della produzione e fronteggiare le più urgenti richieste dei creditori. Di fronte ai dinieghi che oppone il socio privato - che qualcuno sostiene essere entrato nell’ex Ilva per prevenire l’acquisto da parte di una società concorrente, giudizio comunque tutto da dimostrare - ad assumere impegni finanziari e di investimento, a cominciare dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale di 320 milioni, non resta al Governo che valutare altre opzioni alternative, sempre con la finalità di non dare un colpo mortale alla produzione e al lavoro. Ma, secondo quanto riferiscono le cronache, neppure vi sarebbe la disponibilità di ArcelorMittal a consentire che l’aumento di capitale sia coperto tutto da Invitalia che arriverebbe al 66 per cento: se confermata, è la classica posizione del “cane dell’ortolano” che non mangia l’insalata e non la fa mangiare. E’ ovvio che lo Stato non può rimanere bloccato. Di qui l’esame in corso di opzioni alternative, quali l’amministrazione straordinaria, la composizione stragiudiziale, come pure l’insistere sull’aumento di capitale e verificare come reagiranno i membri del consiglio di amministrazione. In campo anche l’ipotesi di arrivare a una liquidazione, come riportano alcune cronache, con l’intento di sciogliere il rapporto con ArcelorMittal. Naturalmente, si tratta di scelte non affatto facili e che possono incontrare scogli da superare anche a livello europeo. 

Tuttavia a mali estremi, estremi rimedi. Il Governo, di fronte all’atteggiamento del socio privato, data la posta in palio, non potrà arretrare. E’ importante che abbia un disegno per il dopo-emergenza e che ciò che decide in questi giorni sia coerente con la prospettiva che assume, con riferimento a tutte le problematiche che la questione presenta, in primis produttive, lavorative e ambientali. La premier Giorgia Meloni, nella conferenza stampa del 4 gennaio, ha sottolineato che lo Stato deve intervenire nell’economia quando è necessario. Questo è un caso del genere. In tal senso, il mandato conferito dall’Esecutivo a Invitalia di Bernardo Mattarella per valutare anche gli aspetti legali della vicenda, quindi i rapporti con Mittal, è importante. Domani, l’incontro del Governo con i sindacati costituirà un momento cruciale 
di chiarezza e decisionalità. Sono passati 60 anni circa dall’allora Italsider, ma l’intervento pubblico in un contesto radicalmente diverso è ancora necessario, sia pure con modalità, misure, tempi e obiettivi, certamente diversi.

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