Alessandro Campi
Alessandro Campi

Il bivio di Salvini/ Centrodestra, la fase adulta ora guardi oltre la piazza

di Alessandro Campi
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Martedì 22 Ottobre 2019, 00:07
Messe da parte le polemiche che l’hanno preceduta e accompagnata – quella assai strumentale sulla partecipazione al raduno dei militanti di CasaPound, quella noiosamente ripetitiva sul numero effettivo dei presenti in piazza – l’unica questione che conta, con riferimento alla manifestazione organizzata a Roma dalla Lega e dal centrodestra lo scorso sabato, è quale significato o valore politico essa abbia avuto. 
È stata soltanto, come qualcuno ha ipotizzato, un’adunata consolatoria, una passerella militante messa in piedi per esorcizzare la brusca fine del governo giallo-verde e la nascita di quello giallo-rosso? In realtà, al netto dell’inevitabile propaganda e dei toni da comizio, da quest’incontro sono emersi almeno due elementi politici d’indubbio interesse.

Il primo riguarda il fatto che il centrodestra esiste ancora come formula e che a tenerlo in vita è colui che la formula l’ha inventata: Berlusconi. Da tempo si dice che Forza Italia, essendo una forza moderata, non può coesistere col radicalismo sovranista della coppia Salvini-Meloni. Il destino del mondo berlusconiano – si dice ancora – è di incontrarsi prima o poi col moderatismo renziano, nella prospettiva della creazione di un nuovo soggetto politico d’ispirazione liberal-centrista destinato all’equidistanza tra gli opposti populismi di destra e sinistra.

Previsione o speranza, questo futuribile politico è stato platealmente affossato da colui che dovrebbe realizzarlo o almeno favorirlo. Il Cavaliere sabato scorso ha esplicitamente riconosciuto – realismo o rassegnazione poco importa – la nuova leadership salviniana sul centrodestra e invece di rompere col suo antico alleato s’è posto semmai il problema di come spingere quest’ultimo verso posizioni meno intransigenti ed estremistiche. Tanto più che appare chiaro che, per quanto embrionale, sta rinascendo un nuovo bipolarismo. Se si uniscono Pd e M5S a maggior ragione si deve riunire il centrodestra che fu, anche se in forme necessariamente nuove. La politica si fa con ciò che si ha, non con ciò che piace o che si vorrebbe. Berlusconi ha tanti difetti, ma non è mai stato un velleitario.

E qui s’apre la seconda questione politicamente interessante. Che tipo di centrodestra è rinato in piazza San Giovanni? E che tipo d’egemonia vorrà esercitare Salvini? Un comizio in piazza non è un testo programmatico o un intervento congressuale. Ma dal discorso che Salvini ha fatto, alcune cose si sono capite o almeno intraviste allo stato embrionale.

Parliamo di contenuti, ma anche di stile e linguaggio: due aspetti che nel caso di Salvini hanno sin qui contato moltissimo. E partendo da questi ultimi appare chiaro che il “trucismo” è una postura che, se mantenuta ad oltranza, al capo della Lega non conviene più. Il cattivismo l’ha fatto crescere, ma se diventa una maschera rischia d’affossarlo. Un riposizionamento d’immagine è quel che sta dunque tentando. Uno che ha campato per anni sull’immigrazione, invocando ruspe, muri e porti chiusi, a Roma ad esempio ne ha parlato il minimo indispensabile, insistendo semmai sull’accoglienza accompagnata dall’integrazione e dal reciproco rispetto. Col paradosso di venire superato a destra dalle parole oltranziste della Meloni.

Dopo aver fatto paura, e dopo aver lucrato elettoralmente su questo sentimento, Salvini ora vuole rassicurare: da qui il saluto ai propri genitori, le carezze simboliche ai bimbi presenti alla manifestazione, l’insistere su una piazza composta da nonni e famiglie, da gente che nulla ha d’estremistico. E poi gli accenni ai giovani da educare attraverso il servizio civile, all’eguaglianza sociale che lo Stato dovrebbe garantire ai cittadini, al disagio economico come priorità della politica. Ancora poco per far dimenticare i suoi eccessi di violenza verbale, ma la strada – se i segnali contano qualcosa in politica – appare tracciata, per quanto in salita: l’identitarismo (base psicologica del suo sovranismo politico) deve puntare a creare integrazione non esclusione. Vedremo.
Eppoi il richiamo reiterato al “buon governo”, al fatto che la Lega è al dunque un partito fatto di amministratori solidi e pragmatici. La crisi dell’estate evidentemente non è passata invano. Finita la stagione del Salvini orgiastico e sopra le righe, che faceva l’oppositore stando al governo, nel mentre il suo storico elettorato gli chiedeva misure economiche concrete, l’impressione è che stia puntando ad aprire un’altra fase, segnata tra l’altro dalla rinuncia a fare da sé e dalla pretesa di potersi mangiare, insieme a un pezzo del mondo grillino, anche i suoi vecchi alleati. Da solo Salvini perde, come capo di un centrodestra nuovamente unito può invece essere vincente. Bagno di umiltà o realismo che nasce da un fallimento, anche in questo caso poco importa. 
Sia chiaro, parliamo di una Lega che non s’avvia banalmente ad una svolta moderata e che vuole pur sempre essere un partito d’ordine d’ispirazione nazionalista. Ma quando hai il 30% e vuoi governare (essendo il primo partito in Italia e il secondo in Europa) devi porti problemi che le piccole forze d’opposizione non hanno. Per cominciare, il posizionamento internazionale. Niente anti-europeismo pregiudiziale, niente ammiccamenti ambigui al putinismo: anche qui è da immaginare un lento cambio di passo, anche questo già accennato. 
C’è poi il problema di chi frequenti e delle persone che ti metti intorno. Parliamo dell’estrema destra, con la quale un pezzo del mondo leghista (Salvini in testa) ha civettato con l’idea di farne un supporto attivistico e militante per la propria battaglia. Ma in politica vale il calcolo delle convenienze. E una Lega che vuole essere partito maggioritario ha più da perdere che da guadagnare da certe frequentazioni.

Con i numeri che ha (reali e potenziali) Salvini può solo tentare di costituire – cambiando progressivamente molto di sé ma senza rinnegamenti radicali – un partito conservatore di massa, più simile al Pis polacco (che ci si ostina a definire genericamente populista essendo invece una forza leaderistica che cavalca il tradizionalismo sociale e continua a vincere con il suo programma di politica sociale) che al lepenismo francese o ai radical-populisti tedeschi e austriaci. 

Che Salvini ci stia seriamente pensando – proprio alla luce delle cose sentite a San Giovanni – è quasi una certezza, che riesca nella sua ennesima metamorfosi è tutto da vedere. 
 
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