L'uomo che volò a Tokyo: in un libro
la storia dell'italiano che collegò l'Asse

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di Fabio Fattore
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Giovedì 27 Agosto 2009, 16:34 - Ultimo aggiornamento: 17:45
ROMA (27 agosto) - I tedeschi lasciarono perdere quasi subito: Ribbentrop insisteva, ma Goring non voleva dirottare risorse su un progetto che giudicava rischioso. I giapponesi erano cauti per ragioni diplomatiche, non volevano problemi con la Russia con cui non erano ancora in guerra, e quando poi cambiarono idea e ci provarono, fu un disastro. I soli che ci credettero e ci riuscirono furono gli italiani: fu il loro, durante la Seconda guerra mondiale, l'unico volo per collegare le potenze dell'Asse.



Un volo avventuroso in territorio nemico nell'estate del '42, Roma-Tokyo-Roma, di cui si era persa la memoria storica. O meglio, come spesso accade, si era persa da noi: in Giappone l'episodio è documentato anche su internet, in Germania lo storico Peter Herde ha pubblicato nel 2000 uno studio in cui, partendo dagli accordi tra Berlino, Roma e Tokyo del 18 gennaio 1942 per la creazione di un collegamento aereo stabile (prezioso per trasmettersi cifrari e documentazione tecnica su nuove armi e scambiarsi specialisi) spiega come e perchè il progetto naufragò e ricorda però l'eccezione italiana.



Un episodio «significativo ma isolato», «un'azione di propaganda, in quanto il Savoia Marchetti né all'andata né al ritorno trasportò passeggeri o materiali importanti». Di un secondo volo programmato, sempre italiano, non se ne fece niente. Sarà stata anche un'azione di propaganda, ma coperta dal più stretto segreto, tanto da farne perdere le tracce. A colmare il vuoto è stato Leonardo Magini, figlio di uno dei protagonisti dell'impresa: ha tirato fuori dal cassetto le memorie scritte dal padre tra l'88 e il '91 e stampate in una ventina di copie per i familiari e si è affidato all'editing di Maurizio Pagliano.



Ne è uscito, ora, il libro "L'uomo che volò a Tokyo, storia di un aviatore del XX secolo" di Publio Magini (Mursia, 296 pagine, 19 euro). L'autore, morto nel 2002, è stato il copilota del trimotore S.75 che volando per 25 mila chilometri alla velocità media di 250 all'ora e facendo scalo a Zaporoz in Ucraina (dove si trovava il comando aereo del Corpo di spedizione italiano in Russia) e a Baotou in Cina, atterrò a Tokyo accolto con tutti gli onori.



Oltre al racconto in prima persona di Magini, il libro contiene una preziosa postfazione di Herde, che nel '93, dopo avere già scritto buona parte del suo libro "Il volo in Giappone", scoprì casualmente la storia di Magini, lo conobbe di persona, lo intervistò e riscrisse alcuni capitoli. In realtà il volo Roma-Tokyo-Roma, anche se dà il titolo al libro e ne è il cuore, non esaurisce la narrazione. Perchè altrettanto avvicente è il "prima" e il "dopo" e soprattutto la vicenda umana di Magini: da quando bambino nella Livorno del '21 accompagna il babbo socialista al congresso che segna la nascita al Pci, fino alle esperienze del dopoguerra nell'aviazione civile.



«Se oggi Alenia-Finmeccanica e l'americana Boeing collaborano proficuamente nella produzione dei grandi aviogetti civili - scrive il figlio - lo si deve anche a lui». La vita di Magini è un romanzo che ci restituisce un affresco dell'Italia piccolo e medio borghese dal 1910, quando nasce, fino agli anni della ricostruzione e del miracolo economico. Magini è un chimico ricco di interessi scientifici che ama il volo e per coltivare questo amore si arruola nella Regia aeronautica. Non acquisisce mai la mentalità del militare ma resta uno scienziato, un pioniere del volo senza visibilità di cui diventa istruttore. Durante la Seconda guerra mondiale quasi si sente in colpa per questo suo ruolo "privilegiato", nei confronti dei tanti colleghi che invece cadono in combattimento.



Si rifà con il rischioso volo Roma-Tokyo-Roma. In realtà è cosciente di assolvere, nel suo piccolo, a un compito vitale: molti piloti italiani perdono la vita proprio per carenze di addestramento, trascurato all'inizio dagli alti comandi in quanto la guerra sarebbe dovuta durare pochissimo. Magini, sempre nel suo piccolo, è anche un osservatore privilegiato della storia con la "s" maiuscola. Come aiutante di volo del capo di stato di maggiore della Regia aeronautica, generale Rino Corso Fougier, partecipa all'incontro di Feltre tra Mussolini e Hitler del 19 luglio '43.



Di lì a poco, il 30 settembre, come aiutante di volo di Badoglio, avrebbe assistito al suo primo incontro con i generali Eisenhower e Alexander sulla corazzata Nelson. C'è sempre Magini, con il compito di portare a Sud quanti più aerei possibili, quando il re fugge da Roma dopo l'armistizio. Incontra la famiglia reale nella sosta a Pescara: «Se il principe Umberto non torna subito a Roma, la dinastia dei Savoia è finita in Italia» commenta con un collega, e si mettono a disposizione per riportarlo nella capitale. «Ma egli ci ha opposto un cortese diniego: questa eventualità è già stata discussa, e definitivamente respinta dal re». Dopo nove mesi e la liberazione di Roma, può riabbracciare la moglie e i figli che erano rimasti bloccati nella capitale.



Finita la guerra lascia l'esercito con il grado di tenente colonnello. Dove il libro potrebbe terminare, però, ecco che ricomincia con altri 40 anni pieni delle più svariate attività: dalla creazione di un cantiere di barche a La Maddalena a una galleria e stamperia d'arte nella Roma del boom, ma soprattutto i 35 anni come consulente europeo dei presidenti che si succedono alla guida dell'americana Boeing e che lo ingaggiano per le sue esperienze maturate in una vita. La vita di un aviatore del XX secolo.