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Luisa racconta: “Fregata dal mio sposo egiziano”

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Giovedì 19 Marzo 2009, 13:28
“Mogli e buoi dei paesi tuoi” si diceva nell'Italia contadina. A partire dagli anni '50, le enormi correnti migratorie dal sud verso il centro e il nord del paese, e dalle campagne verso le città, hanno messo a dura prova questo proverbio popolare dal sapore un po' maschilista, mescolando la nostra popolazione. Oggi si consolida addirittura una nuova tendenza: le unioni miste, fra italiani e stranieri. Un matrimonio ogni dieci ha ormai queste caratteristiche: nel 2006, secondo l'Istat, sono stati infatti 24 mila, sui 245 mila (pochi) celebrati nel nostro paese, con un aumento del 150 per cento nell'arco di 10 anni. In sette casi su dieci lo sposo è italiano, ha in media 41 anni, otto più della sposa, che predilige europea (nell'ordine tedesca, francese, dell'Europa est). Se la sposa è invece italiana, è più vecchia del coniuge (33 anni contro 32) che, in un caso su quattro, è un nordafricano. Le unioni miste sono una sfida e un arricchimento culturale, ma risultano anche più instabili: la durata media prima della richiesta di separazione è infatti di 8 anni, contro i 14 del matrimonio fra italiani. Ci sono storie a lieto fine e altre a dir poco sfortunate. Come quella di Luisa, infermiera romana sposatasi con un egiziano. L'ho incontrata lunedì al quarto piano della Rai di via Teulada. Partecipavamo entrambi alla trasmissione di Rai due “Italia allo specchio”. E' una bella donna dai modi gentili e dall'eloquio ricchissimo, ha occhi scuri, un fisico asciutto e lunghi capelli neri. Le ho chiesto di ricostruire per noi la vicenda che ha già raccontato in tv. Come è nato questo amore? «Era dicembre del 2000, io vado pazza per il mare e con una mia amica sono andata a Sharm el Sheik. Non andavo in cerca dell'arabo, come succede ad altre. Volevo soltanto riposarmi. Un giorno andiamo in giro per negozietti e capitiamo nel suo. Ci offre il tè, era gentile e rispettoso. Se la cavava bene con l'italiano e piano piano è iniziata un'amicizia. E' un bell'uomo di origine siriana, con gli occhi azzurri. Tra me e lui l'arabo sembravo io. Non mi ha mai toccata, aveva grande riguardo nei miei confronti, e una donna da queste cose rimane affascinata. Ricordo una cena nel deserto, nelle tende dei beduini, un'escursione al monte Sinai. Mi ha detto che si era innamorato di me. E' venuto il momento della partenza, e l'amicizia si è cementata con telefonate e sms». Un musulmano rigido? «Assolutamente no. Moderato, flessibile. O piuttosto così mi sembrava allora. Dopo cinque mesi torno a Sharm, la testa ormai mi era partita. Anche qui, tanto rispetto, io dormivo in albergo, lui a casa sua. Poi un terzo viaggio, stavolta al Cairo, a conoscere sua madre, le sorelle e i fratelli, che mi hanno accolto benissimo. Non potevo però continuare a svenarmi con i viaggi, dovevamo prendere una decisione. Ho portato i documenti e nel 2002 ci siamo sposati, con rito civile, al ministero degli Esteri del Cairo». A conti fatti, due anni di fidanzamento, se così si può chiamare... «Già, baci e mano nella mano, come da noi negli anni '50. Decidiamo di vivere in Italia, che poi era il suo sogno. Io non potevo certo rinunciare al mio lavoro, e lui non era uno sceicco. Appena arrivato a Roma, ottiene un permesso di soggiorno di cinque anni per ricongiungimento familiare e, dopo sei mesi, fa domanda di cittadinanza italiana. Credevo che, giorno dopo giorno, si italianizzasse sempre di più. E invece si irrigidiva. Tutti i venerdì andava alla Grande Moschea. Lì si è fatto amici che mettevano zizzania fra di noi. Ha lavorato “sotto padrone” a una bancarella, poi ne ha aperta una lui. Dopo quattro anni sono nati i veri problemi. Cominciava a dire che non potevo stare in costume, che non mi poteva baciare se avevo mangiato prosciutto, che gli eventuali figli avrebbero dovuto essere musulmani, che una figlia avrebbe dovuto arrivare vergine al matrimonio, se no lui mi avrebbe sgozzato...» E lei? «Lo amavo tanto che mi sarei convertita alla religione musulmana, se l'avessi condivisa. Ma ho capito che il Corano era scritto per i maschi, e non per le donne. Basti il fatto che, in caso di divisione ereditaria, al figlio maschio va il doppio, rispetto alla figlia. E che l'uomo può avere fino a quattro mogli. E' iniziata la crisi. E' ripartito per l'Egitto per tre mesi, a riflettere. Torna e va a vivere da quei suoi amici, ma quando può mi viene a trovare e viviamo come dei fidanzatini. A ottobre del 2006 riparte per l'Egitto, e torna a dicembre. In quei giorni mi arriva una lettera anonima, dice che lui si è sposato in Egitto. Mi giura che non è così. Ad agosto del 2007 scade il permesso di soggiorno, mi dice di accompagnarlo in Questura, che è molto meglio con la moglie accanto. Io avevo comunque già segnalato che non viveva più con me. Gli concedono la carta di soggiorno, a tempo indeterminato. Dopo pochi giorni nasce sua figlia...». Sua...figlia? «Sì. Quello che diceva la lettera anonima era tutto vero. E' andato in Egitto e si è sposato, dichiarando persino di essere celibe e non capisco come abbia fatto la burocrazia egiziana a non controllare l'esistenza del nostro matrimonio civile. Sua moglie è giunta a Roma con visto turistico, ha avuto il bambino e goduto di un permesso “post partum” di sei mesi. Nel frattempo, mio marito è diventato italiano e la moglie ha ottenuto un permesso di soggiorno di ricongiungimento alla figlia di cinque anni. E tutto questo è stato reso possibile grazie all'aver sposato me. Lo Stato italiano non mi ha tutelato». Che cosa imputa, in particolare, alle nostre istituzioni?  «Cinque mesi prima che ottenesse la cittadinanza italiana l'ho denunciato per bigamia, eppure il provvedimento gli è stato concesso lo stesso. Ho fatto quattro denunce, una delle quali proprio all'ufficio preposto a concedere la cittadinanza e ho cambiato tre avvocati. Ma voglio avere fiducia e spero che lo Stato gli revochi la cittadinanza e adotti le opportune misure penali. Ah, dimenticavo. Ho da poco ricevuto un talaq, e cioè un divorzio-ripudio, che mi ha fatto in Egitto. Ma insomma, in quel paese ero sposata, oppure no?»
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