Vulci, tesori senza fine: ecco i primi etruschi arrivati qui, 58 tombe nella roccia

Vulci, tesori senza fine: ecco i primi etruschi arrivati qui, 58 tombe nella roccia
Rinvenute le tracce dei primi abitanti del popolo etrusco che misero piede a Vulci, poi divenuta una delle più importanti città dell'Etruria. È quanto...

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Rinvenute le tracce dei primi abitanti del popolo etrusco che misero piede a Vulci, poi divenuta una delle più importanti città dell'Etruria. È quanto scoperto dagli archeologi nelle due campagne di scavo 2020-2021 nella necropoli orientale di Ponte Rotto, nel parco archeologico e naturalistico di Vulci, non tanto lontano dalla celeberrima tomba François a Canino.

Gli studiosi in questi mesi hanno portato alla luce importanti sepolture all'esame delle ricerche storiche-archeologiche. «Stiamo indagando su 58 tombe scavate nella roccia travertinosa locale datate almeno tra il IX e gli inizi del VI secolo a.C. spiega Marco Pacciarelli, direttore scientifico delle ricerche - e l'indagine riguarda sepolture facenti parte di un unico nucleo topografico forse pertinente a una famiglia o a un piccolo gruppo di parentela».

Le tombe testimoniano il periodo di fine VII sec. a.C., rappresentate con un dromos di accesso e vestibolo a T (scoperto) che dava accesso a due camere. Un'altra, pressoché coeva o poco più antica, è costituita da un grande ambiente scoperto rettangolare, circondato da un'ampia risega che serviva ad alloggiare una copertura di grandi lastre di calcare palombino e che poggiavano su una trave lignea, disposta lungo l'asse centrale e inserita alle estremità in due profondi incassi nella roccia.

Entrambe le tombe, durante gli scavi, sono risultate violate ma hanno comunque restituito interessanti oggetti sfuggiti al saccheggio dei tombaroli. Gli archeologi hanno poi rinvenuto altre dieci sepolture, in parte intatte, con al loro interno il defunto disteso dentro una fossa. Sono resti scheletrici ben conservati accompagnati da significativi manufatti di corredo databili approssimativamente dalla metà dell'VIII alla metà del VII sec. a.C. Si tratta di vasi dipinti di stile greco-geometrico (plausibilmente prodotti localmente) e ornamenti, utensili e armi in bronzo o ferro.

Gli scavi sono stati affidati al dipartimento di Studi umanistici dell'Università Federico II di Napoli, diretti da Marco Pacciarell, e condotti da un'équipe che comprende assegnisti dell'Università di Basilea (F. Quondam), di Cardiff (C. Esposito) e della Federico II (L. Fiorillo, P. Miranda), nonché allievi di vario grado dell'ateneo napoletano. La sua realizzazione è stata possibile grazie alla collaborazione con il funzionario Simona Carosi, della Soprintendenza archeologia, Belle arti e paesaggio per la provincia di Viterbo e l'Etruria meridionale, e il direttore scientifico Carlo Casi della Fondazione Vulci.
 

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Il Messaggero