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Lettere, raccolte firme, appelli: la zona rossa è indigesta alla Tuscia. In molti cercano di far sbiadire quel colore, fino a farlo diventare arancione. Ma tra una sfumatura e l’altra spunta anche l’allarme: pericolo «rivolte problemi di ordine pubblico». A lanciarlo sono Fabio Conestà e Giuseppe Mancuso, rispettivamente segretario generale del Mosap (Movimento sindacale autonomo di polizia) e segretario provinciale del Nuovo sindacato carabinieri.
I due esponenti delle forze dell’ordine sono «vicini alla popolazione della Tuscia», ma temono «seri problemi di ordine pubblico». Dopo essere stati sul campo per far rispettare le norme anti Covid, si schierano dalla parte dell’arancione, perché in base ai dati «non c’è regione – dicono Conestà e Mancuso – di chiudere il nostro territorio. Un ulteriore lockdown sarebbe catastrofico per l'economia locale e potrebbe dar luogo a rivolte che comprometterebbero l’ordine e la sicurezza pubblica».
Mancuso spiega così i timori: «Viviamo in mezzo alla strada, percepiamo l’atmosfera.
A proposito di Rotelli: ieri annunciava che «in poche ore già oltre 110 tra sindaci, assessori e consiglieri comunali hanno sottoscritto la lettera documento, da indirizzare al prefetto, al presidente della Regione Lazio e al ministro della Salute». Intanto i sindaci di Castiglione in Teverina, Lubriano, Graffignano e Bomarzo – rispettivamente Leonardo Zannini, Valentino Gasparri, Piero Rossi e Marco Pernicioni - hanno scritto agli stessi destinatari. «Stando alle previsioni dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, nei prossimi giorni tra Viterbo e provincia è atteso un decremento dei contagi del 5 per cento rispetto all’ultima rilevazione fatta l’8 marzo». Tutto il resto del Lazio è in controtendenza: ci si aspetta il segno più ovunque.
Anche loro registrano «un malessere importante tra i nostri concittadini, che si sentono ingiustamente colpiti dopo mesi di grandi sacrifici». E citano il caso delle vicine Toscana e Umbria, dove «è prevista la possibilità di identificare zone rosse all’interno di una regione di colore diverso». Quindi la richiesta di fare una mossa analoga «appare di buon senso», mentre le misure alla luce dei dati sono ritenute «inique, vessatorie e mortificanti». Da qui le richieste: «Una valutazione più capillare degli indici di contagio per non vedere di nuovo penalizzati cittadini, studenti e attività economiche» e ovviamente inserire la Tuscia «in zona arancione».
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