Sfruttamento del lavoro nero, minacce e i depistaggi: «Fai come diciamo, hai una bella famiglia»

I locali dove alloggiavano gli operai dell'azienda Monni
«Io non scherzo, hai una bella famiglia». Minacce, e per niente velate, sono quelle che i membri della famiglia Monni di Ischia di Castro avrebbero fatto al cognato...

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«Io non scherzo, hai una bella famiglia». Minacce, e per niente velate, sono quelle che i membri della famiglia Monni di Ischia di Castro avrebbero fatto al cognato dell’operaio morto. L’intento era quello di costringerlo a toglierle il corpo dalla loro azienda. E il più velocemente possibile.

Sono finiti ai domiciliari, su disposizione del gip di Viterbo, tutti i membri della famiglia Monni che da anni gestiscono 5 aziende, che si occupavano di allenamento di ovini, nel territorio di Ischia di Castro. Il padre di 75 anni Raimondo Monni, la moglie di 70 anni Margherita Contena e i figli di 49 e 38 anni, Giovanni e Salvatore Angelo. Tutti accusati di i occupazione di lavoratori stranieri clandestini, estorsione aggravata, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato e sfruttamento aggravato della manodopera.

Il quadro probatorio contro la famiglia è inquietante. Secondo quanto emerso i padroni degli allevamenti non solo sfruttavano decine di operai stranieri, alcuni irregolari, facendoli lavorare senza un contratto e per pochi spiccioli. Ma li avrebbero privati dei più basilari diritti. «Soggetti - spiega il gip nell’ordinanza - privi i scrupoli pur di conseguire profitti e interessi. Il comportamento tenuto nei confronti dei dipendenti denota la mancanza delle più elementari norme poste a salvaguardia dei diritti».

I Monni nel momento in cui reclutavano personale per lavorare nelle loro varie aziende trattenevano i documenti di identità. Gli operati che andavano a faticare per 600 euro al mese, senza riposi e senza alcun ristoro, sarebbero stati costretti a consegnarle. Chiaro il motivo per il gip. «Se ne impossessavano per ottenere pieno controllo».

Non solo, i lavoratori che dormivano in azienda venivano “accolti” in locali fatiscenti e insalubri e dovevano anche pagare il gas. Il denaro per il riscaldamento insieme a quello per i generi alimenti, comprati sotto la supervisione dei padroni, venivano decurtati dal misero stipendio che riuscivano a prendere ogni mese. 
Il fatto che ha dato il via alla complessa indagine dei carabinieri del nucleo investigativo è quello del 7 giugno 2019.

Un anno e mezzo fa muore nell’azienda dei Monni, per circostanze ancora da chiarire, un operaio albanese di 44 anni. I padroni davanti a quel decesso hanno un solo pensiero: allontanare il corpo il più velocemente possibile dalla loro azienda. Allontanarlo per evitare controlli e sopralluoghi delle forze dell’ordine che avrebbero ficcato il naso nei loro spazi scoprendo tutte le magagne. Così chiamano l’unico parente del morto in zona e lo costringono a portarlo lontano. Vogliono depistare le indagini, così lo minacciano: «Fai come diciamo. Io non scherzo, hai una bella famiglia».

Per il gip che ha disposto i domiciliari ci sono pochi dubbi. I Monni hanno «Totale spregio delle regole».

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Il Messaggero