Estorsione mafiosa, il padre dell'imputato: «Mio figlio non si è reso conto di quel che faceva»

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Slitta la richiesta pene per Emanuele Erasmi, Manuel Pecci e Pavel Ionel. Ieri mattina si è insediata la nuova presidente del collegio - giudice Silvia Mattei - e le...

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Slitta la richiesta pene per Emanuele Erasmi, Manuel Pecci e Pavel Ionel. Ieri mattina si è insediata la nuova presidente del collegio - giudice Silvia Mattei - e le udienze per la discussione del processo per estorsione aggravata dal metodo mafioso sono state spostate a dopo l’estate.

Si ricomincerà a ottobre con la discussione del sostituto procuratore della Dda Fabrizio Tucci che ieri ha depositato la sentenza d’Appello che ha confermato l’associazione a delinquere di stampo mafioso a carico di Giuseppe Trovato, Ismail Rebeshi e di gran parte dei sodali. Prima della chiusura del dibattimento c’è stato spazio per l’ultimo testimone della difesa di Erasmi, il falegname di Bagnaia. A raccontare la crisi economica, che avrebbe spinto l’imputato a chiedere l’intercessione di Giuseppe Trovato, è stato il padre di Emanuele Erasmi.

«Io non sapevo cosa avesse fatto mio figlio - ha spiegato in aula - sapevo che vantavamo un credito per dei lavori eseguiti e che non c’era verso di recuperarli. Prima di tutta questa storia io e lui siamo andati da questo imprenditore che ci doveva pagare, ma ci ha riempito di insulti. Quello che è successo dopo l’ho saputo solo a cose fatte. Sono sicuro che mio figlio non si è reso conto». Emanuele Erasmi si sarebbe rivolto al boss di mafia viterbese per riuscire a recuperare il credito vantato, circa 10mila euro.

Grazie alla intercessione del calabrese l’imprenditore insolvente avrebbe versato 8mila euro in due tranche a Erasmi. Per il “disturbo” albanesi e calabresi avrebbero voluto indietro 3mila euro. «Non so quanto ha dovuto pagare - ha ribadito il padre di Erasmi -, non mi ha detto niente».

Si torna in aula il 28 ottobre per la discussione del pubblico ministero e delle parti civili.

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Il Messaggero