"Viterbo non è un albergo". Ovvero? Il movimento Viterbo 2020 lo spiega sulla sinistra del cartellone 12x3 che campeggia in viale Raniero Capocci. "Basta...
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Ma qual è il senso del cartellone pubblicitario? In quei 36 metri quadrati sono sintetizzati i Frontini pensieri, già esplicitati in una nota: "Un messaggio indirizzato al sindaco Michelini che con il suo buonismo ha permesso addirittura lo sforamento della quota di legge del 2,5 per mille, alla Prefettura che ha gestito la questione in una maniera a dir poco approssimativa e irrispettosa del territorio e dei cittadini, e a tutto il giro di cooperative e privati che guadagnano sulle spalle dei viterbesi e dei migranti, facendo man bassa di soldi pubblici". Prevenendo le accuse di razzismo, ha aggiunto: "L’odio sociale lo fomenta chi non capisce quanto è grande il disagio che vive la nostra gente, chi sottovaluta l’esasperazione con un atteggiamento accondiscendente e buonista che non fa che peggiorare la situazione. Cosa dovremmo fare, dovremmo stare zitti anche noi e piegarci nel nome di un atteggiamento responsabile e condiviso? No, perché l’unico atteggiamento responsabile che conosciamo è quello di tutelare prima i viterbesi".
Ma non tutti la pensano così. A partire dall'Arci impegnata nell'accoglienza dei migranti sia con lo Sprar sia con il bando prefettizio. Eloquente il post su Facebook del presidente Marco Trulli che ha sovrapposto al claim "Viterbo non è un albergo" la frase "La storia non si riscrive". Tra i commenti indignati c'è chi scrive: "Il consiglio comunale di Viterbo è un albergo, le poltrone si pagano"; oppure un altro che la prende da lontano osserva: "I viterbesi di vecchia generazione, come anche i romani veri, non sono per niente intolleranti, la storia lo racconta. Questo razzismo pietoso, oltre che strumentale, dipende anche dallo "sviluppo" demografico del capoluogo, dalla scelta di Andreotti di farne una città di caserme, militare, di destra, nel senso più "back", conservatore". Critica anche l'attivista Emanuela Dei: "Il pensiero mette in relazione la dislocazione dei rifugiati sul territorio di Viterbo e i servizi ai cittadini, come se uno togliesse il pane all’altro. Non è così, visto che il business immigrazione sta dando da mangiare a tanti viterbesi noti, e non". Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero