«Guidavo io l’auto in cui è morta Valentina»: 25enne egiziano ha confessato. Arrestato

I funerali della giovane al Pilastro
«Guidavo io l’auto in cui è morta Valentina Rubino». Un giovane di 25 anni, egiziano, ha confessato dopo tre settimane dal tragico incidente sulla strada...

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«Guidavo io l’auto in cui è morta Valentina Rubino». Un giovane di 25 anni, egiziano, ha confessato dopo tre settimane dal tragico incidente sulla strada Cimina. Il giovane è stato ristretto ai domiciliari con l’accusa di omicidio stradale e, ieri mattina, si è sottoposto all’interrogatorio di garanzia rispondendo alle domande del gip. 

La notte tra il primo e il 2 marzo quattro giovani di Viterbo, mentre tornavano da una serata in discoteca, finirono fuori strada con l’auto: erano due ragazze e due ragazzi. Le due giovani rimasero gravemente ferite. Una si salvò l’altra, Valentina Rubino, morì dopo pochi giorni a Belcolle. Le use condizioni erano disperate e, nonostante il tempestivo intervento dei soccorsi e il trasporto al pronto soccorso, per lei non ci fu nulla da fare.

Per lei si mobilitò tutta la provincia in moltissimi si recarono in ospedale per donare il sangue, con la speranza di salvarle la vita. Per giorni il centro trasfusionale di Viterbo fu pieno di donatori, dopo che per lei scattò una vera gara di solidarietà. In tantissimi infatti risposero all’appello lanciato dall’associazione Admo e dagli amici della ragazza, che chiedevano sangue del gruppo Rh negativo per il disperato intervento a cui doveva essere sottoposta la giovane.

Subito dopo la morte di Valentina la Procura viterbese, pm Michele Adragna, ha aperto un fascicolo per omicidio stradale per fare piena luce sull’incidente. Le indagini svolte dai carabinieri e l’autopsia sul corpo della giovane hanno portato elementi solidi. E subito dopo la confessione del 25enne, di origine egiziana, è stato iscritto il suo nome nel registro degli indagati. Al giovane, assistito dall’avvocato Marco Valerio Mazzatosta, martedì è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari.

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Il Messaggero