Attentati e silenzi delle vittime: la mafia puntò sulle elezioni comunali. Il boss trovato disse: «Meglio Arena»

L'arresto di Giuseppe Trovato
Una mafia “senza nome”, subdola e pronta ad attaccare il potere. Quelle che emerge dalle motivazioni della sentenza che ha condannato la banda di Giuseppe Trovato e...

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Una mafia “senza nome”, subdola e pronta ad attaccare il potere. Quelle che emerge dalle motivazioni della sentenza che ha condannato la banda di Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi è la volontà dei capi di infiltrarsi anche nelle stanze dei bottoni. Quelli che muovono l’attività politica della città. A riprova della tesi i numerosi attentati subiti da Claudio Ubertini e da suo figlio Enrico Maria.


Omertà e soggezione, così la mafia ha trovato spazio a Viterbo: le motivazioni delle condanne

Claudio Ubertini è da sempre in politica, è un volto noto della città. Un consulente economico per molti imprenditori del capoluogo e non solo. E soprattutto tra il 2017 e il 2018 è stato l’obiettivo prediletto di Giuseppe Trovato. Più volte sono andate in fiamme le auto della famiglia Ubertini. E ogni volta l’ex assessore e consigliere comunale non è riuscito a indicare una via da seguire agli investigatori. Vuoto totale, anche quando arrivò una lettera con dei proiettile e la scritta “fai l’omm”.

«Gli Ubertini - scrive la giudice Attura nelle motivazioni - sono escussi dai carabinieri senza fornire elementi utili a ricostruire il movente che sottende alle ripetute intimidazioni, pur lasciando emergere collegamenti con altre persone coinvolte, a diverso titolo, nelle indagini». Un atteggiamento definito “poco collaborativo”, tanto che gli inquirenti decidono di posizionare intercettazioni sulle loro utenze. Le vittime, padre e figlio, mostrano una «particolare prudenza nel parlare al telefono».

Gli attentati si susseguono, Giuseppe Trovato continua a provare “astio e desiderio di vendetta nei confronti di Ubertini” e pianifica ogni sorta di attentato. Ma perché? Nelle motivazioni della sentenza che inchioda tutti alle loro responsabilità ci sono solo le parole captate alla bande e le pochissime deduzioni delle vittime. 
Per il pentito del sodalizio il motivo starebbe tutto in una mancata entratura negli appalti del Comune. Niente di provato, ovviamente. 

Quello che per la giudice però prova il metodo mafioso utilizzato per colpire gli Ubertini è anche, e sopratutto, il loro atteggiamento di reticenza. E qui la sequenza dei fatti è fondamentale. Tra un attentato all’altro a Viterbo si gioca la partita delle elezioni comunali. «Nel giugno del 2018 in concomitanza con la candidatura di Claudio Ubertini alle elezioni amministrative del Comune di Viterbo sono intercettate alcune conversazioni che testimoniano la volontà di Trovato di compiere ulteriori azioni e parlando col sodale Luigi Forieri afferma: «Giovanni Arena è comunque meglio di Claudio Ubertini, anche se entrambi sono traditori. Non sono più amici, però questo ti promette e non ti aiuta».

L’unico che rompe il silenzio sugli attentati è il figlio Enrico Maria Ubertini. E lo fa durante un altro di silenzio, quello elettorale. «Dopo l’ennesimo attentato dell’8 giugno Io e mio padre, che ieri sera ha concluso la sua campagna elettorale, abbiamo timore per la ricaduta di immagine che tale ulteriore gesto potrebbe aver nell’opinione pubblica e che quindi tale intimidazione possa essere stata posta in essere da qualcuno che vuole metterci in cattiva luce».


Per la giudice si tratta di paura, di intimidazioni andate tutte a segno che prova senza ombra di dubbio, che l'associazione di Trovato per raggiungere il suo obiettivo ha utilizzato il metodo mafioso. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero