Estorsione aggravata dal metodo mafioso, pena ridotta per i tre della banda di Rebeshi

Sentenza
Estorsione aggravata dal metodo mafioso, la Corte d’Appello riduce di un anno la pena inflitta agli scagnozzi dei fratelli Rebeshi. I tre ventenni albanesi erano stati...

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Estorsione aggravata dal metodo mafioso, la Corte d’Appello riduce di un anno la pena inflitta agli scagnozzi dei fratelli Rebeshi. I tre ventenni albanesi erano stati assoldati da David Rebeshi per estorcere denaro a due imprenditori viterbesi su indicazioni del boss Ismail. Il gup del Tribunale di Roma in primo grado li aveva condannati a 9 anni e 4 mesi di reclusione. Nonostante lo sconto di pena per la scelta del rito abbreviato.

Ieri mattina la Corte d’Appello ha confermato le accuse e riformato in parte le pene. Condannandoli a 8 anni e 4 mesi. «Pur considerando come traguardo importante la riduzione della pena in Appello - ha affermato al termine della camera di consiglio il difensore Samuele De Santis -, lo sguardo è fisso verso la Cassazione visto che insistono evidenti motivi e vizi di legittimità che sicuramente Suprema corte saprà risolvere». Poco prima della discussione l’avvocato dei tre imputati aveva tentato la carta del concordato per ridurre la pena. Ma la Corte ha rigettato tutto. I tre infatti rispondono di estorsione aggravata dal metodo mafioso reato non previsto per il concordato.

La vicenda per cui sono finiti dietro le sbarre i tre ragazzi albanesi nasce subito dopo l’operazione Erostrato, dei carabinieri del Nucleo investigativo, che porta in manette il sodalizio mafioso capeggiato da Ismail Rebeshi e Giuseppe Trovato. Mentre i boss sono ristretti in carcere qualcosa continua ad accadere. Due imprenditori vengono “avvicinati” da David Rebeshi, in cella per questa vicenda, e dai suoi tre scagnozzi e chiedono soldi. Una delle vittime si rivolge alle forze dell’ordine affermando di essere sotto scacco di un gruppo di albanesi.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti gli indagati avrebbero da un imprenditore 4.000 euro e dall’altro 5mila. Entrambe le richieste avevano un comune denominatore: un fantomatico debito con Ismail Rebeshi. Dietro all’estorsione, per l’accusa, ci sarebbe stata la lunga mano del “boss”. Le conversazioni captate dagli investigatori e la corrispondenza privata dei fratelli albanesi avrebbero svelato le intenzioni criminali.

Per i due fratelli Rebeshi il processo, per gli stessi fatti, è in corso davanti al collegio del Tribunale di Viterbo.

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Il Messaggero