Francesco Achilli, neo medico in campo contro il virus: «Subito vaccinato, gesto di responsabilità»

Francesco Achilli
Il segno del vaccino è una capocchia di spillo vermiglia a metà strada tra la spalla e il gomito sinistro. 25 anni e la faccia pulita. Francesco Achilli è...

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Il segno del vaccino è una capocchia di spillo vermiglia a metà strada tra la spalla e il gomito sinistro. 25 anni e la faccia pulita. Francesco Achilli è stato uno dei più giovani a essere trattati nella campagna di profilassi Anti Covid 19. Gli effetti collaterali localizzati nel punto di inoculazione: «Una leggera dolenza – spiega – quasi un solletico che si sopporta con piacere».

Medico di famiglia positivo non abbandona i pazienti: continuerà a curarli da casa

Perché in quei pochi milligrammi di liquido trasparente c’è la speranza a cui ogni persona si aggrappa per un ritorno a una normalità brutalizzata dalla furia del virus. E di più. C’è un Everest di paura che inizia a sgonfiarsi e un nemico che arretra tra le pieghe della trincea, ma con la bandiera bianca nel punto più buio della fondina.

Una battaglia che Francesco ha deciso di combattere in prima linea con le armi di un medico con il gesso della lavagna universitaria ancora sulle dita. A marzo, in piena pandemia, gli ultimi esami in video conferenza. A giugno la laurea e poche settimane dopo la risposta al bando che chiedeva forze fresche per la creazione di una task force per alzare un muro davanti alla pandemia. Insieme a lui tante facce giovani tra medici e infermieri: «Siamo parecchi del ’95 e c’è anche una ragazza di un anno più piccola», spiega.

La risposta più bella di una generazione che va oltre gli stereotipi, lo schermo di uno smartphone e a cui non tremano le gambe. «Anche se i primi giorni sono stati duri – continua -. Il bagaglio di competenze universitarie si dimezza davanti alla realtà delle cose. L’esperienza dalle morte è un pugno nello stomaco, come lo è vedere lo smarrimento negli occhi delle persone davanti alla malattia».

Di casa in casa. Il ruolo di Francesco e degli altri che hanno prestato la loro professionalità all’UsCovid Vt, (team multiprofessionale e multidisciplinare composto da un pool di 14 medici e 6 infermieri a cui si aggiungono altri a rotazione) passa sotto la supervisione di colleghi anziani «da cui impariamo costantemente». E da visite domiciliari, dal rilevamento dei parametri vitali, dall’anamnesi dei pazienti ed eventualmente dall’attivazione del ricovero.

E da qualcosa poi che va oltre ed insieme è parte integrante dell’anima di chi sceglie di vivere tra le corsie di un ospedale: «Cerchiamo di portare un qualche supporto psicologico per quanto anche per noi si tratti di una situazione emotivamente pesante. Oltre che professionale è un’esperienza umanamente intensa e costruttiva». Del Covid Francesco si è fatto un’idea precisa: «È un mostro con tante teste che tocca tutti ma morde con ferocia i più fragili. L’impatto su alcune persone è potenzialmente distruttivo, toglie il respiro demolendo l’organismo. Oggi sappiamo molte cose, anche su come curarlo ma non dobbiamo abbassare la guardia».

Nonostante il vaccino. «Una speranza. Un gesto di responsabilità verso il prossimo – conclude Francesco - perché la paura più grande forse non è il Covid ma il rischio che ci si possa abituare a centinaia di morti al giorno. Una spirale alla frantumazione della quale ognuno deve dare il suo contributo».

 

 

 

 

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Il Messaggero