Commercio, la Cgil denuncia la giungla dei contratti: "Stesso lavoro per 300 euro in meno al mese"

Carlo Proietti
Meno diritti, ma anche minori compensi. Sono gli effetti delle assunzioni con contratti capestro in alcuni supermercati della Tuscia. La denuncia arriva dalla Filcams-Cgil di Roma...

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Meno diritti, ma anche minori compensi. Sono gli effetti delle assunzioni con contratti capestro in alcuni supermercati della Tuscia. La denuncia arriva dalla Filcams-Cgil di Roma Nord, Civitavecchia e Viterbo: “Sta prendendo sempre più piede il mal costume di applicare contratti che prevedono un compenso inferiore di circa 300 euro mensili rispetto a quello nazionale. Oltre ai soldi, vengono meno anche altri istituti frutto di decenni di lotte dei lavoratori”, accusa il sindacalista Carlo Proietti.

Nella sola provincia di Viterbo sono circa 80 i dipendenti di un grande marchio conosciuto a livello nazionale che si sono visti applicare queste condizioni peggiorative: un punto vendita si trova a Viterbo, altri a Tuscania e a Vetralla. Ma la tendenza si sta allargando anche altrove, con casi simili a Civitavecchia e Fiumicino, sempre appartenenti alla stessa catena.

“Da alcuni anni ormai – spiega Proietti – ai quattro contratti collettivi di lavoro, che Cgil, Cisl e Uil stipulano con Confcommercio, Confesercenti, il sistema cooperativo e Federdistribuzione, si affianca una galassia di contratti pirata. Nel terziario se ne contano quasi 200 che abbattono i minimi retributivi, non riconoscono la 14esima mensilità e altre voci aggiuntive della retribuzione quali gli straordinari, prevedono tagli all’indennità di malattia, assenza di dispositivi di welfare aziendale, riduzione della tutela della salute e della sicurezza, persino delle ferie”.
Nel caso denunciato dalla Filcams quello applicato è il contratto Anpit-Cisal.

“Lo hanno scelto – continua il sindacalista – aziende della grande distribuzione che, affidando in franchising la propria insegna, si deresponsabilizzano rispetto al rapporto con le lavoratrici e i lavoratori. I punti vendita vengono gestiti da soci-imprenditori che eludono l’applicazione del contratto collettivo nazionale di categoria, firmato dalle organizzazioni sindacali e imprenditoriali più rappresentative, come ad esempio Confcommercio”.

Nei supermercati individuati dal sindacato, questa forma di contratto è stata applicata in alcuni casi a tutti i lavoratori, in altre a quelli di aziende create ad hoc per operare all’interno dei negozi. La Filcams ha inviato sia alla proprietà del marchio sia alla Confcommercio due richieste di incontro. “Perché la proprietà e l’associazione di categoria non intervengono per imporre ai propri soci-imprenditori l’applicazione del contratti collettivi di categoria da loro stessi concordati? E perché non rispondono così da poterci confrontare e risolvere il problema della doppia applicazione contrattatuale?” chiede Proietti.

Nel frattempo, decine di lavoratori continuano a prestare servizio per uno stipendio che si oscilla tra i 1.000 e i 1.100 euro, a fronte dei 1.300-1.400 dei colleghi che svolgono le stesse mansioni.

 

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Il Messaggero