Colpo al portavalori sulla superstrada, «Arrivati ai rapinatori grazie a dna e intercettazioni»

Il portavalori rapinato
Armi con matricole abrase, una scarpa sinistra abbandonata e troppe telefonate. Sono i dettagli che hanno permesso agli inquirenti di ricostruire la dinamica di quello che...

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Armi con matricole abrase, una scarpa sinistra abbandonata e troppe telefonate. Sono i dettagli che hanno permesso agli inquirenti di ricostruire la dinamica di quello che è il colpo per eccellenza messo a segno nella Tuscia.

Il primo febbraio 2016, un portavalori della Securpol Group, diretto a Fiumicino, mentre era in procinto di imboccare la rampa di uscita dalla Superstrada in località Cinelli, venne affiancato e bloccato da tre uomini armati che sotto la minaccia delle armi intimarono alle due guardie di scorta di aprire il mezzo e portarono via un milione e 35mila euro in contanti.

Quattro anni dopo gli inquirenti sono riusciti a rimettere insieme i pezzi di un colpo complicato e portare a giudizio i tre principali esecutori della rapina. Due, M. P. ex guardia giurata e M. C. pregiudicato campano detenuto a Mammagialla, hanno scelto di patteggiare. Mentre F. A. cinquantenne di Civitavecchia ha scelto il rito ordinario. Per lui ieri il processo è entrato nel vivo con la testimonianza del colonnello Marcello Egidio, comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri.

F. A. sarebbe stato la mente avendo acquisito informazioni riservate sull’itinerario, orari, scorta e entità dei valori sul mezzo. Parte civile, assistita dall’avvocato Roberto Alabiso l’altra guardia giurata che era a bordo del mezzo assaltato insieme a M. P. (basista del gruppo). «Il sospetto che all’interno della Securpol ci fosse stata una talpa - ha spiegato il comandante Egidio - è stato subito forte. Tanto più che proprio la società ci parlo dei sofisticatissimi sistemi di allarme che erano stati manomessi».

A mettere sulla pista giusta gli investigatori sarebbero stati incastri importanti e dettagli ritrovati sulla scena del crimine. «I Ris - ha spiegato ancora Egidio - il giorno della rapina rilevarono 22 tracce di dna su vari reperti e estrassero 6 profili genetici. In particolare furono riscontrati diversi match positivi su una scarpa sinistra lasciata nei pressi della rapina e su un passamontagna». I match positivi portarono dritti al nome di un detenuto, che era già sotto intercettazione per un’operazione di polizia giudiziaria.

L’uomo era riuscito a far entrare in carcere un cellulare e grazie a questo gli investigatori hanno scoperto che parlava della rapina proprio con gli altri complici. «Siamo arrivati a tutti loro ascoltando le intercettazioni e ricostruendo i movimenti economici tramite bonifici e conti correnti». Il quadro probatorio è stato infine validato dalla confessione dell’ex guardia giurata presente al colpo che aveva assecondato i sodali facendo da basista.

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Il Messaggero