La Tuscia che lavora riapre. Delle oltre 32 mila imprese attive, da ieri era circa 26.500 il totale di quelle che hanno la possibilità di rialzare la saracinesca. E nel...
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Le imprese ad oggi chiamate alla riapertura, in condizioni normali su base provinciale garantivano lavoro a un numero di addetti più elevato degli abitanti del capoluogo: oltre 68 mila. Uno standard al momento irraggiungibile. «La ripartenza – dice Melaragni – è in formazione ridotta. Questo anche perché c’è meno richiesta di lavoro in generale, per ogni categoria. Autoriparazioni, edilizia, manutenzioni: se non è strettamente necessario non si fanno, non c’è ancora l’abitudine a ricorrervi come si faceva prima del coronavirus». Certo, è presto per capire gli effetti, «ma la domanda è diminuita. Il lato positivo è che le imprese hanno voglia di ricominciare, quindi si stanno organizzando e reiventando».
Una delle preoccupazioni? «Siamo alle prese con le misure e i protocolli di sicurezza, l’attenzione principale ora è su questo, per non incorrere in sanzioni e soprattutto per non mettere a rischio lavoratori e clienti». Piccola nota positiva: stanno arrivando i soldi della cassa integrazione ordinaria e in deroga, oltre al fondo di solidarietà per l’artigianato. «Non a tutti – continua - ma iniziano ad arrivare. Stesso discorso per i 25 mila euro garantiti dallo Stato: le banche cominciano a erogarli. Vale per chi ha le coperture, perché per chi non ce l’ha il problema resta». E comunque, trattandosi di indebitamento, «prima o poi devi pagare».
Serve dunque liquidità vera. Da parte del governo dovrebbe finalmente arrivare quella a fondo perduto. «Si parla di 10 miliardi alle aziende fino a 9 dipendenti – spiega Melaragni – e c’è da sperare che il nuovo decreto sia firmato subito: come Cna siamo ai tavoli nazionali per batterci affinché i fondi arrivino il prima possibile e nel miglior modo, soprattutto alle categorie più penalizzate». Sarebbero linfa vitale per andare avanti. «Sono fondamentali, se i ricavi non arrivano la perdita resta importante – conclude - i costi fissi come affitti, utenze, Tari, Imu e imposte non legate al reddito infatti restano tutte». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero