Va a prendere la figlia a scuola con mezz’etto di cocaina, condannato

Polizia
Mezz’etto di cocaina nascosta nella busta del pane, definitiva la condanna a un anno e 8 mesi per un 47enne viterbese. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato...

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Mezz’etto di cocaina nascosta nella busta del pane, definitiva la condanna a un anno e 8 mesi per un 47enne viterbese. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’avvocato difensore che lamentava la mancanza di una perizia sulla sostanza e chiedeva l’applicazione delle attenuanti, che il giudice di primo grado e la Corte d’Appello di Roma non avevano considerato. L’uomo, noto pregiudicato locale, era stato arrestato a ottobre del 2022 dalla Squadra Mobile di Viterbo mentre era in auto con la moglie e stavano andando a prendere i figli a scuola.

Il controllo avvenne a poche decine di mentre dall’ingresso dell’istituto scolastico. Gli agenti, che lo avevano già arrestato 5 mesi prima per lo stesso motivo, lo tenevano d’occhio da un po’ perché sospettavano che in realtà non avesse mai smesso di portare avanti la sua attività illecita. Durante il controllo la Mobile trovò nella busta del pane 56 grammi di cocaina. Durante la perquisizione personale saltarono fuori anche 800 euro, probabilmente provento di spaccio. Il quarantasettene fu subito arrestato con l’accusa di detenzione e spaccio di stupefacente. Durante il processo, celebrato con rito abbreviato che consente lo sconto di un terzo della pena, l’imputato ammise che quei i 56 grammi di polvere bianca nascosti nella busta del pane erano suoi. «Sono per uso personale - disse direttissima - non erano per lo spaccio». L’uomo, che non era nuovo a reati in materia di stupefacenti, era stato già arresto a maggio 2022 per lo stesso motivo. La Mobile non aveva mai smesso di controllare la sua zona di riferimento. Nelle settimane precedenti all’arresto avrebbe scoperto che alcuni assuntori continuavano ad andare da lui, probabilmente, per rifornirsi. 
«L’affermazione della responsabilità era stata basata dal giudice di primo grado sui complessivi atti di indagine acquisiti nel corso del giudizio abbreviato, che avevano consentito di accertare sia la tipologia della sostanza stupefacente (cocaina) che la sua entità», spiegano i giudici della Cassazione. Tra gli atti del processo risultano infatti le dichiarazioni rese dalla polizia, pesatura e narcotest, e le dichiarazioni rese dall’imputato che aveva confermato di aver acquistato stupefacente per uso personale. «La Corte d’Appello - spiega ancora la Suprema Corte - ha dato rilievo anche alla consulenza chimico-tossicologica effettuata dai consulenti del pubblico ministero dalla quale emergeva che la sostanza stupefacente sequestrata aveva una percentuale di purezza al 65% e consentiva di ricavare 215,96 dosi». 

Motivi che per la Cassazione sono stati sufficienti per confermare la sentenza di primo e secondo grado a un anno e 8 mesi di condanna. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero