Tuscia a tavola a Natale: vince la tradizione di piatti del tempo che fu dal sapore unico

Tuscia a tavola a Natale: vince la tradizione di piatti del tempo che fu dal sapore unico
Ma nel Viterbese come si onora il Natale sotto il profilo enogastronomico? Per stilare un vademecum di piatti antichi e recenti è bene affidarsi al più illustre...

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Ma nel Viterbese come si onora il Natale sotto il profilo enogastronomico? Per stilare un vademecum di piatti antichi e recenti è bene affidarsi al più illustre storico della gastronomia locale: Italo Arieti (1934-2017), pediatria, che fu anche presidente dell’Ente provinciale del turismo, dell’Istituto autonomo case popolari, membro dell’assemblea del Consorzio per la promozione dell’Università della Tuscia e assessore al comune di Viterbo. Il suo volume “Tuscia a tavola. Ricette, curiosità, tradizioni gastronomiche dell’Alta Lazio” (Primaprint editori 1996, pp. 397) rimane ineguagliabile con una miniera di informazioni.

Si parte dal pranzo della vigilia di Natale. “Il pranzo di magro, in vista della sera, era semplice e leggero. I piatti: minestra di ceci e cecetti o di ceci e castagne o zuppa di ceci e castagne; minestra con l’arzilla e broccoli; minestra di tinca con tagliolini (nei comuni rivieraschi di lago).

Su passa al cenone della vigilia di Natale. “I menu erano diversi da regione a regione, legati alla disponibilità sul posto delle materie prime. Da noi, nei comuni circostanti i laghi di Vico e di Bolsena, si utilizzavano i pesci d’acqua dolce, che oggi sono stati quasi completamente sostituiti dai crostacei marini. Altra caratteristica era quella del numero fisso di portate (spesso ricorreva il numero sette o il multiplo di esso)”. L’elenco comprende: linguine col tono o con le acciughe (oggi crostacei e molluschi; nei comuni rivieraschi spaghetti con il sugo di anguilla); frittelle di broccoli, di zucca, di mele; capitone ala brace (oggi crostacei alla griglia); baccalà arrosto, in umido e frittelle di baccalà; nei laghi, anguilla fritta e in umido, luccio arrosto in umido; maccheroni dolci con le noci (da alcuni usati come primo piatto); frutta secca (nocciole, noci, mosciarelle, fichi secchi).

Il pranzo di Natale. “Si iniziava con i tagliolini in brodo di cappone ripieno, servito poi come contorno. Nelle famiglie benestanti, seguivi un fritto misto (cotolette di agnello e verdure fritte); si chiudeva con il Pangiallo o con i maccheroni con le noci avanzati dalla sera precedente”. L’elenco dei piatti: bordo di cappone (con tagliolini o tortellini); gallina o cappone ripieno (oggi tacchino); fritto misto di cotolette d’agnello, cardi, gobbi; pangiallo (oggi panettone, torrone, panforte).

Nello stesso volume l’enologo Giovanni Russo elencava i vini da abbinare in queste occasioni: dall’Est! Est!! Est!!!,all’Orvieto secco doc; al Greco Vignanello doc; al Santa Bruna Vignanello rosso doc fino all’Aleatico di Gradoli (per i dolci di pasta non lievitata).

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Il Messaggero