Richiesta di immigrati per lavorare nei campi: via al processo per il racket dei permessi di soggiorno

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«Ma i 2mila e 500 euro quando me li dai?». E ancora: «Fratello, questo è il nome del tuo datore di lavoro». Sono gli sms captati dalla Procura di...

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«Ma i 2mila e 500 euro quando me li dai?». E ancora: «Fratello, questo è il nome del tuo datore di lavoro». Sono gli sms captati dalla Procura di Viterbo che avrebbero inchiodato 34 imprenditori agricoli di origine sarda e tre quarantenni indiani. Tutti accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, sebbene poi nessuno degli aspiranti migranti abbia mai messo piede in Italia (ma avrebbero pagato per farlo e sarebbero stati imbrogliati).


Secondo la tesi della Procura gli imprenditori agricoli avrebbero fatto richiesta di lavoratori stranieri, per lo più provenienti dall'India, allo sportello unico per l'immigrazione quando in realtà non ne avevano bisogno. In questo modo gli imprenditori avrebbero ottenuto il visto per gli immigrati e avrebbero intascato un compenso dai lavoratori stranieri per il solo fatto di essere riusciti a farli entrare in Italia. Il tutto senza che in realtà che ci fosse un lavoro effettivo.

Ieri davanti al gip Francesco Rigato la prima udienza preliminare per 37, rinviata però al 17 dicembre perché alcuni difensori hanno sollevato un'eccezione sulla competenza territoriale. Perché se è vero che a scoprire i fatti è stata la magistratura viterbese è anche vero che la maggior parte degli imprenditori agricoli vive e lavora nel Senese. Lo schema, ricostruito grazie alle intercettazioni telefoniche, era semplice. I tre indiani, da tempo residenti in Italia, cercavano nel Paese d'origine giovani desiderosi di venire a lavorare in Italia. Una volta adescati li presentavano agli imprenditori agricoli che dietro pagamento di 2.500 euro facevano regolare richiesta di permesso di soggiorno per lavoratori stagionali.


Sarebbero state decine gli extracomunitari contattati con la promessa di un lavoro in Italia. Secondo le intercettazioni venivano garantiti ai giovani indiani lavori da braccianti. E buona parte di questi avrebbero pagato le 2.500 euro. Secondo gli inquirenti, tutte le richieste di assunzione erano fittizie, nessuno degli extracomunitari contattati sarebbe mai entrato in Italia e nessuna posizione Inps sarebbe stata aperta. L'accusa per tutti è di aver violato, nell'estate del 2013, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione. Gli imprenditori rischiano la reclusione da 4 a 12 anni e una salata multa per ogni straniero di cui è stato favorito l'ingresso.
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Il Messaggero