​Pizzini dal carcere per riscuotere i crediti, condannati in Appello i fratelli Rebeshi

Ismail Rebeshi
Pizzini dal carcere per riscuotere i crediti, condannati in Appello i fratelli Rebeshi. Ismail e David dovranno scontare 12 anni di carcere per aver estorto denaro a due...

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Pizzini dal carcere per riscuotere i crediti, condannati in Appello i fratelli Rebeshi. Ismail e David dovranno scontare 12 anni di carcere per aver estorto denaro a due imprenditori viterbesi. La Corte d’Appello, ieri pomeriggio, ha ribaltato la sentenza di primo grado confermando non solo l’accusa di estorsione mafiosa, ma anche il vincolo associativo. Dalla sentenza del Tribunale di Viterbo, Ismail considerato il boss di mafia viterbese, né uscì pulito. Mentre David condannato, ma per solo per estorsione “semplice”.

La vicenda - per cui sono già stati condannati in via definitiva anche tre ventenni albanesi utilizzati dai Rebeshi come scagnozzi - nasce subito dopo l’operazione Erostrato, che porta in manette il sodalizio mafioso capeggiato da Ismail Rebeshi e Giuseppe Trovato. Mentre i boss sono ristretti in carcere qualcosa continua ad accadere. Due imprenditori, uno di Tarquinia e uno di Tuscania, vengono “avvicinati” da David Rebeshi e dai suoi tre scagnozzi. Una delle vittime, parte civile nel procedimento, si rivolge alle forze dell’ordine affermando di essere sotto scacco di un gruppo di albanesi. I Rebeshi volevano da un imprenditore quattromila euro e dall’altro 5mila. Entrambe le richieste avevano un comune denominatore: un fantomatico debito con Ismail Rebeshi. Dietro all’estorsione la lunga mano del “boss”. Il collegamento non è semplicemente nel legame di sangue tra i due fratelli Rebeshi. Le conversazioni captate dagli investigatori e la corrispondenza privata dei fratelli albanesi svelano le intenzioni criminali. Per questa ragione i pm antimafia Fabrizio Tucci e Giovanni Musarò, gli stessi dell’operazione Erostrato, fin dal principio hanno ritenuto che il mandante delle estorsioni fosse proprio Ismail Rebeshi, che dal 41 bis nel carcere di Cuneo continuava a dare precise indicazioni su come gestire gli affari.

David per riuscire a ottenere i soldi dell’imprenditore nel settore della ristorazione di Tuscania, parte civile assistita dall’avvocato Luigi Mancini, chiama in causa Ismail: «Devi dire grazie a dio, quello se era fuori era peggio. A lui piace mangiare sangue di altri». Il fratello minore del boss per ottenere i soldi vantati organizza una spedizione con i suoi tre amici ventenni nel ristorante. Entra e inizia a intimorire il titolare. «O paghi o qui facciamo saltare tutto. Bruciamo il ristorante e ti ammazziamo i parenti». 

Per intimorire il piccolo imprenditore di Tarquinia, invece, usano metodo ancora più duri. Durante una trasferta lo inseguono con la macchina fino a Monterosi e davanti a un distributore di benzina lo accerchiano. La vittima riesce a sottrarsi al linciaggio solo grazie all’intervento delle forze dell’ordine. L’appello ha anche stabilito il risarcimento per l’imprenditore di Tuscania: 12mila euro. Le motivazioni della sentenza tra un mese. 

Aumentano intanto le misure di sorveglianza emesse per i condannati dell’associazione mafiosa viterbese capeggiata da Ismail Rebeshi e Giuseppe Trovato. La Questura di Viterbo nei giorni scorsi ha notificato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per Gabriele Laezza di 36 anni, che sta scontando 7 anni nel carcere di Genova perché coinvolto nell’operazione “Erostato”. Quella di Laezza è la quinta. Prima di lui è toccato ai fratelli Rebeshi e ai fratelli Spartak e Shkelzen Patozi, tutti di origine albanese. La misure di prevenzione avranno decorrenza dal momento della scarcerazione. L’inosservanza è punita con l’arresto da tre mesi ad un anno.

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Il Messaggero