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Omicidio di via San Luca, «per la famiglia Fedeli sarebbe stato contemplabile solo il massimo della pena».
L’assassinio del commerciante viterbese arriva in Corte d’Appello, ma prima che i giudici siano chiamati a esprimere il secondo verdetto i familiari mettono bene in chiaro alcuni punti.
Il 3 maggio di due anni fa il 73enne Norveo Fedeli viene ucciso all’interno del suo negozio dal ventenne americano Micheal Pang. Un omicidio, per la Corte d’Assise, che è arrivato dopo una rapina finita nel peggiore dei modi. Giudici togati e popolari hanno condannato, in primo grado, il ventenne a 25 anni e mezzo di carcere. Non riconoscendo nessuna crudeltà, come chiese la Procura durante il dibattimento.
«La famiglia - spiega l’avvocato di parte civile Fausto Barili - partecipa al processo con la consapevolezza che non avrà alcunché, nonostante la sentenza abbia espresso un riconoscimento provvisionale di 500mila euro. Già solo per questo è molto complicato non lasciarsi andare allo sconforto. Tenendo conto che niente e nessuno riuscirà a riempiere il vuoto e il dolore causati dalla perdita di un padre, marito e nonno».
Ma c’è anche altro. «E’ chiaro che per la famiglia nessuna condanna avrebbe potuto compensare il dolore perdita. Credo sia logico e comprensibile che per loro fosse contemplabile solo il massimo pena. Sotto profilo tecnico la sentenza non lascia dubbi interpretativi, certifica che quello di Norveo è stato un feroce delitto, commesso per rapina. Non c’è altra lettura, neppure l’ipotesi fantasiosa dell’accoltellamento, o della legittima difesa. Radicalmente respinto dalla Corte».
La parte civile parteciperà al processo d’Appello con le idee molte chiare. «L’impianto accusatorio originario ha retto - dice infine Barili -, ed è stato cristallizzato con la condanna a 25 anni e mezzo di carcere. In appello faremo di tutto perché questa sentenza venga confermata in tutto e per tutto».
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