Diecimila ettari di noccioleti nel Lazio entro il 2020. E' questo l'obiettivo dell'accordo stipulato dalla Regione Lazio con Ismea (Istituto servizi mercato agricolo...
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Ma nella Tuscia la domanda è sorta spontaneamente: l'accordo non è una trappola per i coltivatori? Ampliare le coltivazioni porterebbe nuova concorrenza a un territorio che da decenni è specializzato su questa coltura. E poi che effetti potrà avere l'accordo sulla tipicità della Nocciola gentile romana? «In linea di massima credo possa trattarsi di una opportunità per i nostri agricoltori - afferma il direttore della Coldiretti viterbese, Ermanno Mazzetti (foto) - anche perché il nostro comparto ha sviluppato una professionalità che da altre parti non c'è. Non solo in ambito di coltivazione, ma anche sul piano della meccanizzazione e della raccolta. E poi la nocciola non cresce ovunque, ha bisogno di climi e terreni adatti che non ci sono in tutto il Lazio, solo in alcune zone più interne che, per di più, devono favorire la meccanizzazione».
Non solo: per la Coldiretti «serve una scelta imprenditoriale vera e propria, con costi di investimento per l'impianto della coltura che non consentono una precoce dismissione della coltivazione. Quindi ben venga questa opportunità, basta che sia regolamentata e che tuteli la nostra tipicità». Appunto. Perché proprio nel Viterbese la tradizione ha portato anche al marchio Dop, quello della Nocciola gentile romana, e qui arriva il secondo problema: quello della contaminazione con altre specie, magari più redditizie.
«Questa è un'altra questione - aggiunge Mazzetti - sulla quale vigileremo. Per questo ci avrebbe fatto piacere essere, come agricoltori, presenti alla stipula di questa intesa. E' vero che esiste un protocollo per aderire alla denominazione che deve essere rispettato, ma credo sia un bene avere un confronto tra tutti gli attori. La Nocciola romana ha fatto grande il nostro territorio, ci ha dato una eccellenza che di fatto ci fa distinguere dagli altri territori e rovinare quanto fatto sin qui sarebbe veramente un peccato». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero