Obiettivo: il controllo dello spaccio di stupefacenti. L'ultimo tassello alla maxi inchiesta sulla ndrangheta viterbese arriva dalle motivazioni del Riesame, che in poco...
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Il 4 ottobre scorso il clan incendia l'auto di E.G., viterbese pluripregiudicato per reati in materia di stupefacenti. La colpa del giovane, per Trovato e soci, è quella di far parte del sodalizio italo-albanese rivale. Il gruppo di Rebeshi a ottobre scorso dà alle fiamme l'Audi di E.G., un avvertimento e allo stesso tempo una lezione. «L'attentato spiega il Riesame - ha lo scopo di consentire a Rebeshi il controllo del mercato degli stupefacenti». Come emerge dalla lunga serie di attentati, le vittime del sodalizio criminale sono per lo più imprenditori, esercenti attività di compro oro, professionisti-avvocati e commercialisti in rapporti commerciali. Altre vittime sono esponenti delle forze dell'ordine o giovani che avrebbero mancato di rispetto al gruppo.
«Tutti gli episodi criminosi spiegano ancora i giudici - sono riconducibili a una strategia unitaria criminale, promossa da Trovato, che agisce prima allo scopo di assumere e mantenere il controllo delle attività economiche di compro oro nel Viterbese; poi, anche attraverso l'associazione con la frangia albanese, allarga gli obiettivi puntando al controllo di tutte le attività economiche e, da ultimo, ad accaparrarsi il controllo dello spaccio di stupefacenti». Lo spaccio, da quanto emerso da diverse indagini, è l'attività prevalente dell'albanese Rebeshi - che per questo reato è agli arresti da novembre, su ordinanza della Dda di Cagliari - ma dopo essersi associato col calabrese Trovato diventa affare di famiglia. Tanto che l'attentato incendiario allo spacciatore rivale viene effettuato da tutti i sodali.
L'azione è sottolineata dallo stesso Trovato con parole euforiche: «Sta banda me piace, piccola e aggressiva». Ed è proprio la violenza la caratteristica tipica. «Una violenza - afferma il Riesame - temuta per la vastità degli interessi illeciti coltivati e per la brutalità crescente con cui agiscono gli aderenti. Questa violenza esercita di per sé una forte carica intimidatoria all'esterno, ripetuta e crudele, il cui effetto è la creazione di un clima di assoggettamento e di omertà».
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Il Messaggero