Morte di Sestina Arcuri, per la Corte fu «solo un tragico incidente». Gli errori dell'accusa

Andrea Landolfi e Maria Sestina Arcuri
Morte di Maria Sestina Arcuri, per la Corte d’assise di Viterbo non c’è alcun dubbio: «Solo un tragico incidente». A sei mesi dall’assoluzione...

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Morte di Maria Sestina Arcuri, per la Corte d’assise di Viterbo non c’è alcun dubbio: «Solo un tragico incidente». A sei mesi dall’assoluzione di Andrea Landolfi, accusato dell’omicidio della fidanzata, il Tribunale di Viterbo motiva la sentenza del 19 dicembre scorso. Secondo l’accusa il trentenne romano avrebbe spinto giù dalle scale la ragazza dopo una lite iniziata ore prima in pub.

A sostegno della tesi della Procura di Viterbo, che aveva chiesto una condanna di 25 anni di carcere, la ricostruzione del Ris di Roma e alcune testimonianze. Compresa quella del figlio dell’imputato. Ma per la Corte la ricostruzione della caduta fornita dalla Procura «integra un giudizio di verosimiglianza, di mera probabilità e come tale non idoneo a fondare una pronuncia di colpevolezza».

In particolare, la Corte rileva che «neppure la valutazione di compatibilità operata dal Ris sia del tutto convincente. Non fornisce alcuna spiegazione alle ulteriori lesioni presenti sulle parti del corpo della Arcuri, lesioni che anzi smentiscono la ricostruzione in questione». Per il Tribunale la caduta accidentalesarebbe confermata anche da Mirella Iezzi, nonna di Landolfi indagata anche lei, sulla cui attendibilltà la Corte non ha dubbi. Mirella Iezzi in qualità di nonna prediletta del nipote avrebbe fatto semplicemente la nonna, senza depistare le indagini.

La famose frase intercettata portata dalla Procura come prova («Perché se resti te, resto io, fresche se cadi te»), per il Tribunale non è univocamente interpretabile come esortazione alla nonna a mantenere ferma una versione falsa già resa. «Appare piuttosto - spiegano - una ricerca di puntello morale quale la Iezzi è sempre stata per il nipote».

Ultimo passaggio è quello che la Corte dedica all’audizione protetta del figlio di 5 anni di Andrea Landolfi. «Esame determinato da notevole stress e che avrebbe dovuto essere opportunamente evitato perché in suo luogo si svolgesse l’incidente probatorio per tutelare la serenità del minore e la genuina del narrato». Quando invece sarebbe potuto essere decisivo. «Solo per completezza - conclude la Corte - deve rilevarsi che il minore nel proprio esame ha affermato l’esatto contrario di quella che è l’interpretazione dalla pubblica accusa».

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Il Messaggero