Mafia viterbese, oggi ultimo atto in Cassazione

Uno degli attentati dell'associazione
Mafia viterbese, ultimo atto in Cassazione. Questa mattina alle 10 inizierà l’udienza che scriverà la parola fine sull’associazione capeggiata da...

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Mafia viterbese, ultimo atto in Cassazione. Questa mattina alle 10 inizierà l’udienza che scriverà la parola fine sull’associazione capeggiata da Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi. Il gup del Tribunale di Roma e la Corte d’appello hanno già affermato, quest’ultima a luglio 2021, che quel gruppo era un’associazione mafiosa.

Condannando capi e gregari a oltre 70anni di carcere. Pene severe aggravate dalla detenzione al 41 bis in diversi carceri d’Italia. Ora la Cassazione dovrà stabilire se quel gruppo era davvero mafioso. Giuseppe Trovato, Ismail Rebeshi e altri 7 sodali sono stati arrestati dai carabinieri del Nucleo investigativo di Viterbo il 25 gennaio del 2019, al termine di una complessa indagine che ha ricostruito oltre quaranta attentati intimidatori, la maggiori parte dei quali incendiari, messi a segno nella città di Viterbo. Vittime predilette i piccoli imprenditori di attività compro-oro, ma anche gestori di locali notturni e sfortunati malcapitati. Il giorno dell'arresto della banda, in cui furono eseguite 13 misure cautelari, intervenne anche Michele Prestipino, procuratore nel 2019 aggiunto alla Dda di Roma sottolineando che quella scoperta era la prima “mafia” nella città di Viterbo.

La critica principale del ricorso presentato da Giuseppe Trovato, tramite l’avvocato Giuseppe Di Renzo, riguarda l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso. «Siamo convinti che il sodalizio non era mafioso, ma si è trattato di una faida interna al mercato dei compro-oro e per la gestione dei locali notturni per stranieri». E ancora: «Secondo quanto emerso nelle sentenze - spiega Di Renzo - la mafiosità sarebbe fondata sulla commissione dei delitti scopo, ma la capacità di intimidazione deve appartenere all’associazione in quanto tale, non può desumersi dalla sola fama criminale di questo o di quel singolo. E non si comprende come sia stato possibile dedurre che gli autori dei reati fossero oltre che compartecipi o associati tra loro, ancor più legati in cosca mafiosa».

Di parere diametralmente opposto i pm antimafia Giovanni Musarò e Fabrizio Tucci che hanno coordinato le indagini. «Quella che ha operato a Viterbo è una “piccola mafia” come quella che è stata riconosciuta per il clan dei Fasciani a Roma. Attenzione, non una mafia di serie B - ha precisato il magistrato durante la discussione davanti al Gup - ma una mafia violenta, pericolosa che, senza l’intervento dei carabinieri, avrebbe potuto fare ancora di peggio». La definizione “piccola mafia” a cui si rifa il pm è quella ribadita dalla Corte di Cassazione proprio nella sentenza Fasciani. Ovvero piccole organizzazione che assoggettano un limitato territorio o settore avvalendosi del metodo dell’intimidazione.

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Il Messaggero