Lo studente che ha tentato il suicidio è in coma farmacologico. Gli amici: «Gesto incomprensibile»

Lo studente che ha tentato il suicidio è in coma farmacologico. Gli amici: «Gesto incomprensibile»
Restano gravissime le condizioni dello studente universitario di Tarquinia, ricoverato da sabato all'ospedale San Matteo di Pavia dopo aver tentato il suicidio. I medici, a...

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Restano gravissime le condizioni dello studente universitario di Tarquinia, ricoverato da sabato all'ospedale San Matteo di Pavia dopo aver tentato il suicidio. I medici, a quasi una settimana di distanza, si riservano la prognosi. A quanto filtra, il venticinquenne M.A. sarebbe tenuto in coma farmacologico.


Al suo fianco, dal giorno della tragedia, sono arrivati i genitori assistiti quotidianamente da un lungo via vai di amici, che in queste ore nere stanno facendo sentire la loro presenza. Ci sono i colleghi di studio della facoltà di Medicina, quelli che per primi hanno dato l'allarme e prestato soccorso; e con il cuore gli amici di Viterbo che faticano a dare un senso alla realtà che sta passando davanti ai loro occhi. Con alcuni il giovane ha condiviso i banchi di scuola e non credono alle motivazioni della delusione universitarie, o del ritardo negli esami: l'ipotesi passata con maggiore attenzione sotto la lente degli inquirenti che stanno indagando.

«Non è un ragazzo che si lascia abbattere, è stato sempre sorridente, educato, mai una parola fuori posto e pronto quando c'era bisogno. Sembra tutta una follia, tutto un incubo», raccontano gli amici. Passato tra le aule del liceo classico Buratti del capoluogo, la descrizione che esce fuori di M.A è sempre la stessa: uno studente brillante e pronto alla battuta. Impegnato nel sociale, con un sguardo sempre attento a cogliere le sfaccettature della quotidiana e capire come dare il suo contributo per renderla migliore.

A Viterbo tornava di rado, le sua nuova vita a Pavia lo assorbiva completamente tra i corsi e una fitta rete di amici con i quali il legame era sceso in profondità. «L'ultima volta che ci eravamo visti eravamo stati bene - raccontano - in una serata allegra, una birra e tante risate». Le risate, forse una maschera per chi, come lui, non aveva mai dato segni evidenti di disagio, lanciato richieste di aiuto o manifestato uno stato depressivo.


«Purtroppo è impossibile fare delle ipotesi, quello che l'ha spinto a un gesto simile non possiamo saperlo e probabilmente è anche inutile». Restano il dolore, il silenzio e la speranza alla quale attaccarsi fino all'ultimo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero