In porta senza una mano: «Ora aiuto i bimbi down»

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Esistono giorni in cui la vita decide di prenderti a schiaffi. Così, senza un motivo, senza preavviso. Ne sa qualcosa Maurizio Castelli, trentaduenne viterbese, che nel 2015 ha vissuto lo stravolgimento della sua esistenza. In sella alla sua moto, nel Grossetano, è stato falciato da un automobilista ubriaco. Che non guidava una macchina normale: l’investitore era al volante di un Defender, tutto ferro e spigoli. Castelli è entrato in coma, per alcuni giorni è stato più vicino alla morte che da quest’altra parte. Ma è rimasto attaccato alla vita ed è riuscito nell’impresa, anche se i medici sono stati costretti ad amputargli la mano sinistra. E oggi si prepara alla sua nuova avventura: accogliere disabili, bambini autistici, down e amputati nel centro sportivo, per eventi musicali e feste “Il Bullicame”.

Ciò che gli è accaduto sarebbe stata una disgrazia per chiunque, ma per lui è stata una disdetta doppia perché a ventidue anni il “nostro” giocava in porta. «Ma non mi sono perso d’animo - dice Castelli - e ho continuato comunque la quotidianità di prima. Con una protesi al braccio per guidare, con un guanto senza dita che mi infilo ogni volta che mi metto fra i pali». È rimasto l’istinto del numero 1, ha cambiato la prospettiva di chi si è ritrovato a giocare insieme agli amputati. Ha trovato una squadra, poi un’altra, allenatori che comunque gli hanno dato fiducia, perché in porta il ragazzo ci sa fare. «Poi è scoccata la scintilla dell’insegnamento, ed ecco il cambio di passo». Castelli ha cominciato in proprio: «Mio padre mi ha allestito ostacoli in legno per allenare, la Uhlsport mi ha dato fiducia, qualche amico mi ha fatto da sparring partner. Così è nato il “Castelli 2.0”», ragazzo di belle speranze che nel frattempo s’è fatto uomo.

Ha cercato un luogo per allenare e il resto è storia odierna: lo ha trovato al Bullicame (strada delle Terme 2B), un campo di calcio a 5 (predisposto anche per giocare a 6) tutto suo dove poter insegnare i rudimenti del “dio pallone”, in maniera particolare a chi vuol giocare in porta. «Tutto è successo in breve tempo - continua – con i primi bambini iscritti alla scuola calcio e la volontà di darmi da fare. In special modo con disabili, bimbi autistici, down e amputati». Lui certe situazioni le ha vissute in prima persona e ragiona sul cosiddetto “calcio sociale”. «Ho pensato di portare in dote non solo le capacità del calciatore, ma quel volere che diventa potere utile a evitare di fermarsi al primo ostacolo».

Oggi taglio del nastro ufficiale, in campo una sfida di calcio a 5 della categoria “primi calci”. Poi spazio al gioco, all’insegnamento, alla cultura del lavoro. «E alla certezza che la forza di volontà può tanto. Anche restituire il sorriso a un ragazzo che nove anni fa - conclude Castelli - neanche si sapeva se avrebbe potuto continuare la sua esperienza fra i comuni mortali».

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Il Messaggero