Il pasticciaccio del porto di Marta, l'inchiesta e quei rimpalli di competenza in Regione sulle autorizzazioni

Il porto di Marta in provincia di Viterbo
Tu chiamalo, se vuoi, porto. Oppure specchio d'acqua. O ancora diga frangiflutti. Fatto sta che quello di Marta (Viterbo) è un bel pasticciaccio. Di sicuro, un caso...

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Tu chiamalo, se vuoi, porto. Oppure specchio d'acqua. O ancora diga frangiflutti. Fatto sta che quello di Marta (Viterbo) è un bel pasticciaccio. Di sicuro, un caso alquanto raro di amministratori accusati di abuso di ufficio per aver "intenzionalmente procurato un ingiusto profitto al Comune", insomma alle casse pubbliche. Ma tra le ipotesi di reato della Procura ci sono anche altri due capi di imputazione: falso ideologico e violazione delle norme paesaggistiche. Gli indagati sono otto, tra membri della giunta e tecnici comunali: Lucia Catanesi, Maurizio Lacchini, Andrea Garofali, Roberto Pesci, Cinzia Pistoni, Angelo Centini, Giacomo Scatarcia e Mariosante Tramontana. Di sicuro, la vicenda è oltremodo intrigata.


I lavori iniziano nel 2013 e si concludono nell'agosto del 2015, finanziati dalla Regione con fondi europei. A inizio del 2016 la banchina di circa 270 metri realizzata per difendere l'incile e consentire il dragaggio del fiume Marta è pronta e collaudata. Il 28 aprile parte dal Comune (sindaco era Catanesi, oggi vice di Lacchini) la prima richiesta di autorizzazione alla Regione per occupazione dello specchio d'acqua. Non arrivando alcuna risposta, il 12 maggio si preannuncia per iscritto l'intenzione di occupare lo specchio per pubblica utilità. Intenzione formalizzata con delibera di giunta a giugno e inviata alle Risorse idriche regionali, che nel frattempo girano tutto al Demanio ritenendo non fosse loro competenza. E la stagione estiva del 2016 parte e si conclude con l'utilizzo dei nuovi posti barca.

A marzo di quest'anno il Comune presenta di nuovo domanda, dalle Risorse idriche rispondono solo il 30 maggio ammettendo stavolta (dopo un anno e mezzo) che la competenza è loro e chiedendo indietro diversi documenti. Nell'incertezza che si è creata il consiglio comunale il 1 giugno delibera di sollevarsi "da qualsiasi responsabilità oltre che da eventuali oneri a qualsiasi titolo derivanti dallo specchio d'acqua e/o porto in questione, demandando al controllo e gestione dello stesso la struttura regionale competente". Fatto sta che nessuno aveva risposto al Comune che no, le barche lì non potevano starci.


Il gip Francesco Rigato, che per due volte ha rigettato la richiesta di sequestro preventivo avanzata dal procuratore Paolo Auriemma e dal pubblico ministero Massimiliano Siddi, scrive che "non si vede quali conseguenze in termini di aggravamento o protrazione dei reati potrebbe derivare relativamente ad essi in mancanza di apposizione del vincolo richiesto" e che "l'opera è stata realizzata regolarmente anche dal punto di vista ambientale". Resta che per "i quattro pontili di attracco delle imbarcazioni non risultavano chieste autorizzazioni paesaggistiche o conferenze dei servizi". Resta, ed è questo il cuore dell'inchiesta. che per "i quattro pontili di attracco delle imbarcazioni non risultavano chieste autorizzazioni paesaggistiche o conferenze dei servizi". Di fatto, dalla Regione però nessuno ha mai risposto.
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Il Messaggero