Il documento del Pd ai vertici: «Chiediamo Panunzi capolista, altrimenti si aprirebbe una ferita non sanabile»

Il documento del Pd ai vertici: «Chiediamo Panunzi capolista, altrimenti si aprirebbe una ferita non sanabile»
«La direzione provinciale di Viterbo, riunita in forma allargata ad amministratori locali, coordinatori di circolo e figure di riferimento sul territorio della nostra...

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«La direzione provinciale di Viterbo, riunita in forma allargata ad amministratori locali, coordinatori di circolo e figure di riferimento sul territorio della nostra organizzazione chiede che si tenga conto della richiesta della provincia di Viterbo ad essere degnamente rappresentata alle prossime elezioni politiche dalla candidatura dell’onorevole Enrico Panunzi nella prima posizione del plurinominale, atta a garantire il giusto riconoscimento a questo territorio ed il miglior utilizzo, all’interno delle liste del Pd, della rosa di nomi allegata, composta da figure di sicura esperienza e di comprovata capacità politica e amministrativa, in grado di caratterizzare positivamente la prossima campagna elettorale».

La direzione, all’unanimità, approva. Il documento è del 29 luglio. E per direzione qui si intende l’intero mondo dem della Tuscia viterbese. È questa la richiesta inviata al regionale e al nazionale del Pd, ignorata per lasciare spazio all’establishment romano. Ed è questo il casus belli che sta mandando in tilt i dem sul territorio, in contrapposizione ai suoi vertici. Al senato c’è Alessandro Mazzoli, ma il punto non è lui: è Panunzi. Che vista la scelta su Madia ha ritirato la sua disponibilità a scendere in pista.

Qui invece era stato chiesto lui «considerato che il momento di preoccupante crisi economica e sociale - scrivono i dem - richiede una rappresentanza forte ed autorevole dei territori, per meglio rispondere alle esigenze dei cittadini, e che durante l’ultima legislatura questo territorio non ha avuto nessun rappresentante di diretta espressione del Pd e del centrosinistra».

La direzione provinciale ha cercato con ogni parola di far capire che «una ulteriore mancanza di figure di diretta espressione del territorio, già subita nella precedente legislatura, rappresenterebbe una ferita di difficile rimarginazione». Ecco, ora la ferita è aperta.

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Il Messaggero