Per la prima volta il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso deflagra a Viterbo. Lo sottolinea un magistrato che ne sa di certe cose, il procuratore aggiunto Dda...
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E' disarmante, per non dire devastante, il silenzio di istituzioni e società varia della città di fronte alla portata del fatto. Il maxi blitz con 13 arresti dei carabinieri contro la mafia del viterbese con solidi collegamenti con ambienti ndranghetisti, anche se è a oggi è un'ipotesi d'accusa della magistratura, fa paura. Perché gli episodi svelati e ricostruiti, alcuni noti, sono reali, sono accaduti sotto casa nostra. C'è chi spadroneggiava a Viterbo attraverso una serie di aggressioni e gravi atti intimidatori, esercitando un'azione di controllo del territorio.
Non ce n'eravamo accorti, ed è grave. Ma nè un sindaco, nè un parlamentare o regionale, nè un consigliere comunale di questo territorio hanno aperto bocca. Ed è ancora più grave. Quasi che un cancro che si insinua nella vita di una città fosse solo materia da ordine pubblico (un «grazie ai carabinieri» almeno da Fratelli d'Italia è arrivato). Lo stesso atteggiamento riscontrato nei territori in cui le organizzazioni criminali si sono affacciate. L'atteggiamento di chi pensa che certe cose accadono agli altri. Tanti, troppi viterbesi pensano ai cavoli loro, non s'indignano e non si impicciano ("Sai che me 'nc..."). A meno che qualcuno non gli parcheggi l'auto nel posto condominiale a loro riservato. Allora lì...
Ecco, è l'atteggiamento che la mafia ritiene perfetto per cominciare a mettere radici in un territorio. Per poi manipolarlo in ogni suo aspetto. «È la prima volta che viene contestato il 416 bis per un sodalizio nel Viterbese», disse un magistrato il 25 gennaio 2019.
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Il Messaggero