Viterbo, feto nel cassonetto: la donna per ora resta in Romania

Viterbo, feto nel cassonetto: la donna per ora resta in Romania
Feto nel cassonetto: processo in Corte d'assise per l'infermiere e rito abbreviato davanti al gup per la madre. Sembrano destinate a dividersi all'udienza preliminare...

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Feto nel cassonetto: processo in Corte d'assise per l'infermiere e rito abbreviato davanti al gup per la madre. Sembrano destinate a dividersi all'udienza preliminare le strade della coppia, accusata di omicidio volontario aggravato in concorso. Diverse, secondo la difesa, le posizioni. L'infermiere infatti non avrebbe partecipato all'induzione del parto prematuro che ha provocato la morte della bimba, nata settimina il 2 maggio 2013.




Anche se avrebbe procurato lui la ricetta falsa per l'ossitocina, portandola poi a Belcolle dopo l'emorragia. Ma per il resto la 24enne romena avrebbe fatto tutto da sola. Partorendo nel bagno di casa dopo aver assunto 4 pasticche di Cytotec. Strappando con le mani il cordone ombelicale. Avvolgendo la bimba - nata viva, anche se morta subito - in un asciugamano e poi mettendo il corpicino in una busta. Busta che lei stessa, ripresa dalle telecamere, ha gettato nel cassonetto del Salamaro durante la corsa in ospedale.



Una «totale assenza di valore per la vita umana», secondo il Riesame. Riesame che ha accolto il ricorso del pm Franco Pacifici, contro il rigetto da parte del gip Francesco Rigato, di un mandato di cattura internazionale per l'arresto della donna, espatriata dopo sei mesi di carcere. Ma per ora la 24enne non tornerà in cella, in quanto giusto ieri i difensori Samuele De Santis e Maria Antonietta Russo hanno depositato un ulteriore ricorso in Cassazione.



«Che senso ha il carcere ora - ribadiscono i legali - se fosse voluta scappare lo avrebbe già fatto, invece è tornata a vivere dove viveva, in Romania, col figlio di due anni». Ma la convivenza data per "pacifica" dal gip Rigato, «non risulta in alcun modo provata», secondo le motivazioni dei giudici del Riesame. Per i quali «la non meglio provata convivenza è al fine di sottrarsi al concreto esercizio della giustizia italiana e il pericolo di fuga è eccezionalmente rilevante». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero