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Il parcheggio di Valle Faul è diventato una stazione di partenza e arrivo per i lavoratori immigrati impiegati ogni giorno nelle campagne intorno a Viterbo. Uno dei punti in città, insieme ai luoghi di culto come la moschea di via Garbini o il tempio sikh sulla Tuscanese, dove per gli operatori delle unità di contatto dell’Arci è più facile “intercettare” i braccianti, la sera quando ritornano a casa. I volontari erano lì anche mercoledì scorso, per la giornata contro la tratta e lo sfruttamento sessuale e lavorativo, organizzata dalla presidenza del consiglio dei ministeri con iniziative in molte città italiane.
Gli immigrati scendono a gruppetti di 7-8 da alcuni furgoni che passano a distanza di qualche minuto uno dall’altro, si fermano e ripartono. “Rispetto al passato sono molti meno i braccianti che si spostano in bicicletta. Qualcuno ha preso la patente e la macchina, così si sono organizzati tra loro: viaggiano insieme e dividono la spesa. Da un po’ di tempo poi si vedono girare questi pulmini”, raccontano i volontari, dopo aver consegnato ad alcuni ragazzi africani e del Pakistan un volantino che contiene indirizzi e contatti dei sindacati locali o di altri servizi della Rete antitratta della Tuscia di cui Arci è parte, e alcuni cappellini. “Distribuiamo gadget che possono essere utili secondo le necessità – dice Simone Giulivi -.
Secondo relazione finale del quarto piano anti tratta della Regione Lazio pubblicata a giugno Viterbo è una delle province del Lazio dove il “fenomeno” dello sfruttamento dei lavoratori migranti “è più evidente”. “Non appare nelle forme eclatanti dei ghetti tipici di altre zone del paese, ma in modalità più diffusa e attenuata non senza casi di grave sfruttamento che hanno visto l’intervento delle forze dell’ordine per avviare processi in attuazione della legge 199/2016”, quella per il contrasto del caporalato. Nella Tuscia i braccianti sono sottopagati: “La versione prevalente dei casi riscontrati riguarda la persistente difformità tra il trattamento economico e quanto previsto dai contratti nazionali. Fenomeno che, reiterato nel tempo, comprova la condizione di sfruttamento, ma assume caratteristiche apparentemente attenuate e implica una minore disponibilità dei lavoratori alla denuncia”.
Legata al tema c’è la questione dei trasporti dalla città verso i campi. A Viterbo si vedono molto più spesso girare furgoni. “Come si svolge questo servizio? Viene effettuato da aziende oppure da terzi? I lavoratori devono pagare qualcosa? Si tratta di mezzi di trasporto sicuri?”, domanda Sergio Giovagnoli, portavoce delle rete anti tratta della Tuscia che rilancia la proposta di realizzare linee del trasporto pubblico locale dedicate ai braccianti, in convenzione con le aziende.
E poi la casa. Nel Viterbese non ci sono ghetti ma "i braccianti si trovano spesso a vivere in 7-8 in vecchie catapecchie". Viterbo poco aperta: "Agli immigrati e a determinate categorie di persone seguite dai servizi sociali non si affittano appartamenti. E così c’è chi se ne approfitta”. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero