Due settimane di chiusura obbligata. Quindici giorni senza incassi e una spirale di cui non si vede il fondo. Secondo una stima, a fine emergenza, potrebbero essere il 44% le...
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«Per molti, potrebbe essere la mazzata finale – dice Alessandra Di Marco, titolare di un negozio in centro – il settore è a un passo dal baratro». Le voci, nel centro del capoluogo ridotto a un deserto, raccontano tutti la stessa storia, la parola ricorrente è “disastro”. Al di là delle vetrine, sui banconi e gli scaffali coperti dai teli per proteggere la merce dalla polvere, anche sdrammatizzare è diventato un lusso che nessuno può concedersi.
«È una guerra, uno stillicidio quotidiano – continua Di Marco – la cosa peggiore è che non possiamo fare niente: siamo del tutto impotenti davanti a una situazione impossibile da prevedere». Terra che trema sotto i piedi e anni di lavori che rischiano di andare in fumo. Con le entrate che mancano anche il pulviscolo di una bolletta diventa una sassata lanciata da un onagro, destinata a aprire un breccia. Poi ci sono gli affitti, che non si congelano, e le richieste dei fornitori.
«La maggior parte delle aziende ha capito la realtà ma c’è anche chi, pur fermando le consegne pretende pagamenti – continua Di Marco –. Forse non è chiaro che qui non si tratta di far quadrare i conti, ma di sopravvivere». Parole d’ordine per tutti, nonostante tutto. Pure se la paura galoppa: «In questa situazione, senza liquidità corrente e le spese fisse che comunque restano, vedere un futuro prossimo roseo è difficile – dice Giuliano Proietti, con la famiglia titolare di uno dei ristoranti storici della città – la preoccupazione non è solo per l’emergenza. Ma anche dopo. Stiamo affrontando le prime onde, ma lo tsunami deve ancora, purtroppo, arrivare».
Le immagini che arrivano dalla Cina, a pochi giorni dallo stop al lockdown, di ristoranti e bar sono infatti un vaticinio ancora peggiore. «La gente è tornata al ristorante ma distanti e uno per tavolo”, continua. Per Michele Schirripa, titolare del ristorante e lounge bar ‘Lab’ l’ancora di salvezza è affidata agli aiuti promessi dal governo. «Spero arrivino quanto prima a cominciare dalla cassa integrazione – dice – . Non mi sembra ci sia ancora chiarezza sul tema: se l’anticipo spetta al datore di lavoro il problema cresce notevolmente». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero