Ceramica, il dopo emergenza: per Unindustria «finita la quarantena le fabbriche possono riaprire»

Lo stabilimento della ceramica Flaminia
Le fabbriche del distretto industriale della ceramica devono ripartire appena terminata “la quarantena”, che si concluderà il 3 aprile. Ma in sicurezza. ...

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Le fabbriche del distretto industriale della ceramica devono ripartire appena terminata “la quarantena”, che si concluderà il 3 aprile. Ma in sicurezza.


A sostenere questa linea è Augusto Ciarrocchi, presidente della Ceramica Flaminia nonché presidente della sezione ceramica di Unindustria. «Spero che prima di tutto vengano adottati altri criteri per la sospensione della attività – dice l’imprenditore – perché l’eventiale a proroga sarà un altro duro colpo per l’economia locale e anche del paese. Come? Utilizzando non più il grossolano sistema dei codici Ateco, ma un criterio basato sul rischio effettivo e non potenziale di contagio.

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Un esempio? «L’azienda che rappresento a causa della recente riduzione delle richieste di mercato, si era organizzata – a partire dal 23 marzo – per continuare a produrre in misura ridotta, utilizzando circa 30 dipendenti su un organico di 130». Secondo Ciarrocchi i dipendenti «avrebbero lavorato in uno spazio di 25.000 metri quadrati, a distanza di decine di metri uno dall’altro. Soltanto pochissimi lavoratori, per poco tempo nel corso della giornata lavorativa, avrebbero operato a distanza ravvicinata sostiene l’imprenditore - nel rispetto però delle procedure igieniche ed organizzative, già adottate e con la dotazione dei mezzi di protezione individuale (mascherine, guanti, occhiali ecc.)».

Per l’imprenditore viterbese questo avrebbe consentito all’azienda di «continuare a produrre in sicurezza, al fine quantomeno di assortire il magazzino e di spedire il materiale, soddisfacendo le richieste provenienti dall’estero». Il problema è però gestire la protezione degli operai.

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«Se si volesse verificare il rispetto delle procedure di sicurezza - afferma sempre Ciarrocchi- le aziende potrebbero essere sottoposte al controllo pubblico, sia da parte delle prefetture oppure dai sindaci e dalle aziende sanitarie locali. Un tale sistema consentirebbe di aumentare il numero delle imprese in attività, creando meno danni all’economia italiana con un conseguente minor aggravio per i conti dello Stato». Se non altro, per i minori costi della cassa integrazione» Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero