Muore d’infarto dopo aggressione al bar, «l’imputato cercò più volte di attentare all’incolumità della vittima»

Aula tribunale
Sessantenne muore d’infarto dopo aggressione al bar, «l’imputato cercò a più riprese di attentare all’incolumità fisica della...

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Sessantenne muore d’infarto dopo aggressione al bar, «l’imputato cercò a più riprese di attentare all’incolumità fisica della vittima». A mettere la parola fine sull’omicidio preterintenzionale del 6 novembre 2017 in un bar di Ischia di Castro sono le motivazioni della Cassazione. La Suprema Corte ha infatti respinto il ricorso della difesa e condannato in via definitiva l’imputato. 

Quasi 4 anni fa il 65enne Benedetto Giovannoni fu spintonato e schiaffeggiata dal quarantenne nigeriano, mentre tentava di difendere la barista importunata dall’aggressore visibilmente ubriaco. Il 65enne, come stabilito dalle perizie, morì a causa dello stress psico-fisico dovuto all’aggressione. Il nigeriano con precedenti per rapina e resistenza, secondo la ricostruzione della Procura, avrebbe dato prima uno schiaffo alla vittima, poi avrebbe tentato di picchiarlo con un bastone, mentre erano ancora dentro al bar, quindi lo avrebbe colpito di nuovo all’esterno del locale. Afferrandolo per il collo, avrebbe prodotto l’alterazione del ritmo cardiaco che, essendo il 65enne cardiopatico, sarebbe stato il fattore scatenante dello stress psicofisico causa dell’evento morte.

Il quarantenne è stato condannato in via definitiva, per omicidio preterintenzionale, a 6 anni e 8 mesi. Come stabilito dalla Corte d’Appello. Sentenza subito diventata esecutiva. Solo poche settimane fa il quarantenne è stato infatti rintracciato e arrestato dai carabinieri di Vasanello, che lo hanno condotto nel carcere di Viterbo. 
A spiegare come quei tre atti si siano trasformati in un omicidio preterintenzionale è proprio la Cassazione.
«I rilievi della difesa - spiegano i giudici della Suprema Corte - sembrano muovere dal presupposto che il nigeriano avrebbe partecipato al diverbio solo con un isolato gesto connotato da violenza fisica, come se il prodursi e lo sviluppo della lite fossero stati del tutto indipendenti dalle modalità della condotta dell’imputato. Le cose, stando alla convergente lettura della dinamica dei fatti offerta da entrambe le pronunce di merito, non stanno così». 

La dinamica sarebbe tutt’altra. « Di atti diretti a ledere o percuote il 65enne - spiega la Cassazione - se ne registrarono ben tre un pugno o schiaffo, subito dopo che la vittima lo aveva invitato - su sollecitazione della barista - a non creare disturbo, il gesto di scagliargli contro un bastone dopo che Giovannoni lo aveva condotto fuori dal locale (bastone che non era andato a segno, colpendo la porta del bar), un’ultima manata che, indirizzata verso il nipote della vittima sopraggiunta nel bar, aveva nuovamente colpito sul collo Giovannoni». Tre atti che avrebbero condotto alla morte il sessantenne che aveva patologie pregresse.

«Quindi un conto è l’agitazione che si produce in chi si trovi protagonista di un altero verbale, un’altra è subire ripetute aggressioni fisiche, certamente idonee a cagionare e amplificare lo stato di stress. L’imputato cercò a più riprese di attentare all’incolumità fisica della vittima».

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Il Messaggero