Agricoltura, nella Tuscia calano i vigneti e al loro posto spuntano i noccioleti

Agricoltura, nella Tuscia calano i vigneti e al loro posto spuntano i noccioleti
Cala il numero dei vigneti nel Lazio. Nel quinquennio 2016 - 2021 sono stati 344 gli ettari in meno dedicati alla coltivazione dell’uva. «Un fenomeno diffuso –...

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Cala il numero dei vigneti nel Lazio. Nel quinquennio 2016 - 2021 sono stati 344 gli ettari in meno dedicati alla coltivazione dell’uva. «Un fenomeno diffuso – spiega il presidente di Cia (coltivatori italiani) Sergio Del Gelsomino – che non risparmia la Tuscia».

Il motivo di questo cambio di indirizzo sembra avere radici nella diminuita redditività economica che i vitigni laziali hanno avuto sia rispetto ad altre colture che sul mercato settoriale per gli effetti di una concorrenza crescente. Nella vicina Toscana, per dare un numero, gli ettari a vigneto sono oltre 60mila (+1959), in Umbria quasi 13mila (+27)a fronte di un territorio molto più ridotto. «Gli agricoltori, specie in un periodo complicato come è stato l’ultimo, si sono fatti i conti e una parte ha scelto di riconvertire la produzione aziendale».

Una sostituzione che sembra destinata a continuare nei prossimi anni ed ha favorito, in primo luogo, la nascita di nuovi noccioleti. «Una scelta che per alcuni è stata necessaria per altri la migliore», spiega ancora Del Gelsomino. Così nonostante le pesanti critiche che, specie intorno al lago di Bolsena, la crescita della coltura aveva scatenato tra cui quella di essere poco sostenibile e lontana dalla vocazione territoriale.

Punti su cui Del Gelsomina precisa: «Se andiamo a guardare i grafici provinciali e analizziamo le singole aree per produzione ci rendiamo conto che i vigneti hanno una tradizione solida solo a Montefiascone e Castiglione in Teverina. Quanto all’impatto ambientale, i prodotti che vengono utilizzati per permettere a viti e nocciole di sopravvivere ai danni provocati da malattie e attacchi parassitari non sono poi così diversi».

Casi come quelli del lago di Vico, la sofferenza del quale era stata portata ad esempio dai comuni intorno al lago di Bolsena come risultato della produzione intensiva di nocciole (e quindi errore da non ripetere) «devono fare riflettere ma senza la demonizzazione del prodotto», conclude Del Gelsomino. Per capire la ragione di un cambio di orientamento in parte degli agricoltori vale la pena sottolineare l’impatto che le nocciole hanno sull’economia della Tuscia.

In attesa dei dati dello scorso anno, che hanno visto un crollo della produzione in alcune aree dell’80 per cento per colpa della siccità estiva e delle gelate tardive di aprile, nel 2020 la nocciola è stata la seconda voce più pesante nel bilancio provinciale, dopo il comparto ceramico di Civita Castellana.

 

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Il Messaggero