Il moco è un legume molto particolare che, dopo vari studi,...
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Come si semina il moco
«Si seminava, e lo si fa ancora oggi, il centesimo giorno dell’anno, il 10 o l’11 aprile, sessanta giorni più tardi fiorisce e tra la fine di luglio e la meta di agosto si raccolgono i baccelli», spiega Gianpietro Meinero, segretario della Condotta Slow Food Alta Valle Bormida e referente del neonato Presidio. Il difetto? «Richiede molto lavoro: si semina a mano, si estirpano le erbacce a mano, si raccoglie a mano e non esiste neanche un setaccio che vada bene per tutti i semi, perche hanno dimensioni diverse». Così, una volta raccolti i baccelli e lasciati ad asciugare al sole per qualche giorno, la prima domenica dopo ferragosto la tradizione vuole che i produttori - quelli che per ora hanno aderito al Presidio sono quattro - si riuniscano attorno a un tavolo e li sgranino a mano. «I semi piu piccoli, quelli che tendono a spezzarsi, vengono macinati e trasformati in farina, con cui si prepara una deliziosa farinata - aggiunge il referente dei produttori, Elvio Bonino -. Gli altri, ideali per le zuppe, li confezioniamo interi in sacchettini».Dove si trova il moco
I quantitativi raccolti sono ancora ridotti: nel 2022, prosegue Bonino, grossomodo la produzione complessiva si e attestata sul quintale. Ripensando alla situazione di dieci anni prima, quando la coltivazione del moco era praticamente scomparsa, si tratta di un risultato incoraggiante. «Ho ancora in mente quando mio padre mi parlava del moco, negli anni ’50 - ricorda Meinero -. Poi, nel 2011, un anziano del paese mi ha detto che possedeva ancora qualche centinaio di semi. Siccome pochi anni prima avevamo avviato con successo il recupero della zucca di Rocchetta (oggi sull’Arca del Gusto, ndr), abbiamo pensato di far lo stesso con il moco: abbiamo dato a un gruppo di amici una trentina di semi ciascuno, il necessario per seminare un metro quadrato di terra, affinche li riproducessero. Cosi, in breve tempo, siamo arrivati al recupero». Un passo alla volta, per «riportare in vita una produzione che stava venendo persa» per dirla con le parole di Bonino, anche se non ancora come all’inizio del secolo scorso, quando i fiori di moco, bianchi con screziature azzurre, coloravano le alture di Cairo Montenotte, di Cengio e degli altri paesi della valle Bormida. «Pensate che noi di Rocchetta, frazione di Cengio, eravamo chiamati "mangia mochi" - conclude Meinero -. Altri tempi, prima che lo sviluppo industriale del secondo dopoguerra, qui da noi in particolare del settore chimico, spopolasse la campagna. Ma ora, finalmente, il nostro legume e tornato».Il Messaggero