Mind the gap, Paola Cortellesi: «Discriminata e pagata meno, ora ho vinto»

Nessuno, meglio di Paola Cortellesi, incarna la parità di genere. Almeno nel cinema. L’attrice romana, 45 anni e una figlia di sei, Laura, è attualmente...

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Nessuno, meglio di Paola Cortellesi, incarna la parità di genere. Almeno nel cinema. L’attrice romana, 45 anni e una figlia di sei, Laura, è attualmente l’unica donna capace di trascinare il pubblico nelle sale: i suoi ultimi film ”Come un gatto in Tangenziale”, ”La Befana vien di notte” e ”Ma cosa ci dice il cervello” sono stati campioni d’incassi. Già nel 2014, aveva denunciato la discriminazione di genere: nella commedia di Riccardo Milani ”Scusate se esisto” doveva fingersi uomo per poter lavorare. E l’anno scorso ha fatto scalpore alla cerimonia dei David di Donatello quando ha declamato in diretta tv il monologo anti-sessista di Stefano Bartezzaghi in cui la stessa parola cambia significato (sempre a sfavore delle donne) se declinata al maschile o al femminile. Esempio: cortigiano è un uomo che vive a corte ma cortigiana è una poco di buono, un passeggiatore ama camminare mentre una passeggiatrice è una prostituta, un massaggiatore si prende cura dei muscoli altrui invece una passeggiatrice vende sesso per la strada. E via di questo passo con i binomi zoccolo/zoccola, uno squillo/una squillo, gatto morto/gatta morta.

È cambiato qualcosa da quella sua esibizione irresistibile che ha suscitato tante risate amare?
«Non mi sembra. Il monologo di Bartezzaghi denunciava, sia pure in forma esilarante, un problema culturale grave, antico e non ancora superato: la discriminazione di genere che passa anche attraverso il linguaggio. Ma le parole non vanno sottovalutate, soprattutto nell’era dei social».
Perché, secondo lei?
«Perché traducono un pensiero sessista che spesso sfocia nell’aggressività fisica. Per questo le nefandezze verbali postate sul web andrebbero punite con la massima severità. Chi insulta una donna a parole legittima le discriminazioni, addirittura la violenza».
A proposito di discriminazioni, per lei è stato difficile imporsi in un cinema che ha sempre privilegiato i mattatori?

«All’inizio tutti pensavano che una protagonista femminile non avrebbe interessato nessuno, poi gli incassi hanno dimostrato il contrario. E io continuo, anche come sceneggiatrice e presto come regista, a raccontare storie di donne che pur non essendo ricche o famose rispecchiano la realtà. Anche una casalinga, come mia nonna che ha cresciuto 4 figli, è una supereroina, altro che Wonder Woman». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero