"La Casa di Carta 4, maschere e canzoni di Battiato: rieccoci"

(Servizio a cura di Eva Carducci) È dicembre, e San Paolo è nel pieno dell’estate. Non esistevano ancora distanze di sicurezza da mantenere al Brazilian...

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(Servizio a cura di Eva Carducci) È dicembre, e San Paolo è nel pieno dell’estate. Non esistevano ancora distanze di sicurezza da mantenere al Brazilian Comicon, la più grande manifestazione del Sud America che celebra il mondo dell’intrattenimento, dove abbiamo intervistato, in esclusiva italiana, il cast de “La Casa di Carta”, la cui quarta parte arriverà su Netflix a partire dal 3 aprile.


Pedro Alonso (Berlino), Rodrigo de la Serna (Palermo), Alba Flores (Nairobi), Darko Peric (Helsinki) e Ester Acebo (Stoccolma), questi i protagonisti presenti che ci hanno raccontato il loro rapporto con la maschera di Salvador Dalì, divenuta celebre proprio come segno di resistenza grazie al successo internazionale della serie Netflix.


Nello show dei record un gruppo di emarginati della società viene assoldato dalla brillante mente di un uomo che vuole mantenere l’anonimato, e che si fa chiamare semplicemente “Professore”. Missione? Svaligiare la Zecca di Stato di Madrid, vestiti di rosso e con la suddetta maschera per nascondere l’identità. Dopo il successo del primo colpo la posta si alza e nella terza, e quarta parte de “La Casa di Carta”, l’obiettivo è la riserva aurea di Stato, custodita anch’essa all’interno della Fábrica Nacional de Moneda y Timbre. «La maschera è una forma di protezione, e al contempo una rinuncia all'individualità, non sei più solo, con la maschera sei parte integrante di un collettivo. Questo per me è l'aspetto positivo dell'indossarne una, perché non serve per nascondersi, ma per diventare un tutt'uno con le altre persone», parola di Alba Flores, la femminista Nairobi dello show, quella che con il suo grido di battaglia “Empieza el matriarcado” ha scosso gli animi, non solo dei fan. « Siamo felici della risonanza mondiale che “La Casa di Carta” sta avendo, e adoro lo spirito fiero e combattivo di Nairobi, che insieme a Stoccolma fa ragionare su un discorso, quello della disparità di genere, ancora molto lontano dall’essere risolto. La serie però non è una serie femminista, dobbiamo dirlo perché non possiamo parlare a nome di tutti quelli che lavorano a La Casa di Carta». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero