Città del Vaticano – Non solo in Vaticano l'impatto della crisi finanziaria e della recessione portata dal coronavirus sta dando grattacapi ai vertici. Anche...
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A parlare apertamente del problema era stato il mese scorso il nuovo presidente della Conferenza episcopale, monsignor Georg Baetzin, mettendo in chiaro che tutto questo avrà conseguenze per le diocesi e le strutture amministrate, tenendo conto che la Chiesa in Germania non solo è ricchissima ma costituisce uno dei principali datori di lavoro: scuole, ospedali, strutture parrocchiali, centri di ascolto per un totale di decine di migliaia di impiegati.
Tutto si regge sulle entrate della tassazione. I contribuenti tedeschi pagano una tassa annuale per poter essere 'iscritti' a una confessione religiosa e, di conseguenza, hanno diritto ad avere accesso ai riti, ai sacramenti, ai matrimoni, ai funerali. Negli ultimi anni le Chiese cristiane (non solo quella cattolica) hanno denunciato un calo del numero degli iscritti. Una sorta di distaccamento della vita religiosa, un disinteresse di fondo, oltre che un risparmio evidente per le famiglie.
La tassa religiosa in Germania è prevista dalla legge. Il denaro viene detratto dalle autorità fiscali statali e poi trasferito, in un secondo momento, alle Chiese. In pratica il gettito fiscale dipende dal numero degli 'affiliati' e, ovviamente, dall'andamento economico generale. Chi ha un reddito maggiore, specie se è un lavoratore autonomo, è evidente che pagherà di più. Nel 2018 i contribuenti che si sono iscritti alla Chiesa cattolica hanno versato 6,6 miliardi di euro di tasse ecclesiastiche. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero