Abusi, il caso di Tivoli scoperchia l'anomalia italiana: i preti non hanno l'obbligo di denunciare i pedofili alla magistratura

Abusi, il caso di Tivoli scoperchia l'anomalia italiana: i preti non hanno l'obbligo di denunciare i pedofili alla magistratura
Città del Vaticano - Il brutto caso di Tivoli potrebbe far saltare il tappo della anomalia italiana più volte messa in evidenza nelle sedi di diversi...

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Città del Vaticano - Il brutto caso di Tivoli potrebbe far saltare il tappo della anomalia italiana più volte messa in evidenza nelle sedi di diversi organismi internazionali (Onu compresa) dalle vittime: la mancanza dell'obbligo di denuncia dei pedofili alle autorità civili da parte di sacerdoti e vescovi. Il nostro ordinamento, infatti, non lo prevede e di conseguenza nessuno è costretto a denunciare gli abusatori, fermo restando che Papa Francesco ha vincolato tutti alla massima «collaborazione».

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Il caso di Tivoli - dove un professore di religione con diversi incarichi nella diocesi e nell'Azione Cattolica ha abusato di diversi alunni- secondo il Procuratore della Repubblica resta emblematico: nonostante le indagini iniziate nel 2019 il docente è stato sospeso da tutti gli incarichi didattici e da quelli diocesani (che lo mettevano a contatto con i ragazzi) solo nel 2021, vale a dire due anni dopo. Un ritardo enorme, per situazioni tanto esposte, frutto probabilmente di un clima di diffidenza all'interno delle strutture. Il vescovo di Tivoli, Mauro Parmeggiani – un prelato molto rigoroso nell'applicazione delle norme canoniche e stimato a livello nazionale  – ha confermato  che appena ha avuto notizia di un abuso ha avvertito le autorità di pubblica sicurezza, anche se la revoca degli incarichi è avvenuta dopo perchè la denuncia canonica da parte della vittima è stata successiva. Meccanismi effettivamente farraginosi. L'Azione Cattolica nazionale ha espresso vicinanza alle vittime ricordando che l'uomo non aveva incarichi a livello nazionale dal 2011 e non erano mai arrivate voci sul suo conto. 

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La prassi generalmente applicata in casi simili e che orienta tutti i vescovi italiani fa riferimento alle linee guida stilate dalla Cei. Nel testo si spiega che i chierici sono esonereati dall'obbligo di deporre in un tribunale italiano o di esibire agli inquirenti italiani documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragioni del proprio ministero, e di non avere l'obbligo giuridico di denunciare all'autorità giudiziaria le notizie ottenute in confessionale in merito ad abusi sessuali da parte del clero. 

La questione dell'obbligatorietà da un punto di vista strettamente giuridico si basa sul quarto comma dell'articolo 4 del Concordato del 1984, e sugli articoli 200, 25 e 331 del Codice di Procedura Penale: ogni vescovo può rifiutarsi di testimoniare in un processo penale così come ogni sacerdote può farlo appellandosi al segreto derivante dal proprio ministero.

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Sul tema della pedofilia nel clero italiano, a parte rari interventi da parte del mondo politico, nessun partito finora si è mai fatto carico di cambiare le disposizioni in materia e avviare un percorso in grado di portare ad una revisione pattizia dell'articolo 4 per proteggere i bambini. In Italia, diversi anni fa, il deputato grillino Matteo Mantero aveva presentato in Parlamento una interrogazione per sapere quali fossero gli elementi statistici «sui procedimenti, definiti e ancora pendenti, nelle procure della Repubblica per reati sessuali contro minori, che vedono indagati o imputati ministri di culto».

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Inoltre chiedeva quali iniziative intendesse assumere il Governo dell'epoca «nell'ambito dei rapporti bilaterali con la Santa Sede, per promuovere il rafforzamento dello scambio di informazioni ovvero per introdurre strumenti di cooperazione finalizzati alla prevenzione e repressione dei reati di molestie e abusi sessuali perpetrati da ministri di culto in Italia». La Cei, che tra tutte le conferenze episcopali italiane in materia di lotta agli abusi è sempre stata il fanalino di coda dell'Europa, non ha mai pubblicato nessuna statistica. Tuttavia fa notare alla stampa che in Italia ci sono numeri bassi, i più bassi d'Europa. Quanto siano bassi, però, con certezza statistica non è dato sapere, così come è impossibile conoscere che fine abbiano fatto i preti pedofili processati dai tribunali ecclesiastici negli ultimi 50 anni, nè l'estensione del fenomeno a livello territoriale.

CORTE EUROPEA

Un paio di anni fa la Corte europea dei Diritti dell'uomo aveva stabilito che il Vaticano non poteva essere citato in un tribunale locale per gli abusi sessuali commessi dai preti o dai vescovi. Questo perché gode dell'immunità sovrana. Inoltre la Corte ha affermato che la cattiva condotta dei preti e dei loro superiori non può essere attribuita alla Santa Sede. La Corte europea aveva respinto una causa intentata da una ventina di vittime belghe riunitesi in una sorta di class action.

Le vittime avevano sostenuto che la Santa Sede di fatto non poteva non considerarsi responsabile di quanto accaduto, a causa del modo «strutturalmente carente» in cui la gerarchia cattolica si era mobilitata per coprire decenni di azioni orribili, dando spesso copertura a sacerdoti che violentavano e molestavano i bambini. I querelanti si erano appellati alla corte di Strasburgo dopo che i giudici belgi avevano dichiarato di non avere giurisdizione, data l'immunità della Santa Sede come stato sovrano. 

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CONFESSIONE

Infine il caso di Tivoli, inoltre, fa affiorare un altro grande argomento molto dibattuto all'estero ma finora silenziato in Italia. Cosa deve fare un prete che viene a conoscenza di un reato di pedofilia attraverso una confessione?

L’abolizione del segreto confessionale è una ipotesi che avanza implacabilmente in diversi Paesi proprio per mettere in sicurezza i minori, nonostante la forte opposizione degli episcopati. Secondo una sempre più nutrita schiera di giuristi, questa misura aiuterebbe a combattere la piaga della pedofilia nella Chiesa.  La prima nazione che ha aperto il dibattito è stata l’Australia dopo la pubblicazione di uno sconvolgente report nazionale dal quale è emerso che il 7% dei preti erano stati accusati di molestie. Per questo la Royal Commission aveva chiesto di riformare il sistema penale. I vescovi australiani si erano opposti all’ipotesi di abolire il sigillo sacramentale per denunciare eventuali casi di abusi appresi in confessionale. La battaglia contro la pedofilia rischia effettivamente di modificare l’obbligo di conservazione del segreto assoluto delle verità apprese in confessionale? I vescovi australiani dicono che si vuole imporre una pratica totalmente «contraria» alla fede cattolica, come pure alla «libertà religiosa». Principio, questo, riconosciuto dalla legge del Paese. L’arcivescovo di Brisbane Mark Coleridge, aveva parlato di una «intrusione dello Stato nel dominio del sacro».

 

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Il secondo Paese nel quale si è aperto lo scontro è il Belgio. Anche in questo caso i i vescovi belgi, in un comunicato, sono intervenuti sul caso di un prete condannato dal Tribunale di Bruges. La Corte penale lo aveva ritenuto colpevole per non aver chiesto soccorsi subito dopo aver raccolto al telefono la confidenza di un uomo che voleva suicidarsi. Per il Tribunale, la segretezza della confessione può essere paragonata al segreto professionale, in quanto «è dovere di tutti dare assistenza agli altri». La Conferenza episcopale belga aveva reagito precisando che esiste una differenza abissale tra il segreto professionale e la segretezza della confessione, intesa come sacramento di riconciliazione, a cui sono tenuti soltanto sacerdoti e vescovi. 
 

Secondo il Codice di Diritto canonico il segreto della confessione è inviolabile. Il Codice di Diritto Canonico non prevede eccezioni all’inviolabilità della segretezza della confessione. Ciò significa che un prete non può in alcun modo rivelare informazioni su un penitente e sulla sua confessione. E ciò si applica anche in rapporto alle autorità civili e a quelle dei magistrati. Ciò non impedisce naturalmente che la segretezza della confessione possa diventare un pretesto per prendere misure preventive. Un prete può sempre esortare un autore di abusi sessuali a comparire davanti ad un tribunale ma senza rompere il sigillo del sacramento e andare a denunciare direttamente il fatto alla polizia.
 

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Il Messaggero