La storia dell'amicizia tra Bergoglio e la sopravvissuta Edith Bruck: «Il pettine donato nel lager e il gesto di papa Francesco»

La storia dell'amicizia tra Bergoglio e la sopravvissuta Edith Bruck: «Il pettine donato nel lager e il gesto di papa Francesco»
Accarezza i disegni che gli studenti italiani le hanno spedito dopo averla ascoltata in tante scuole. Il fumo nero che esce dal forno crematorio, il numero 11152, un cuore, un...

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Accarezza i disegni che gli studenti italiani le hanno spedito dopo averla ascoltata in tante scuole. Il fumo nero che esce dal forno crematorio, il numero 11152, un cuore, un canestro pieno di pane, la scritta pace e un'altra: Grazie Edith. «Non possiamo raccontare loro solo la crudeltà. Dobbiamo mostrare che esiste anche quel filo di umanità che pure io ho trovato ad Auschwitz. Vorrei che fossero allenati a coltivare fiducia altrimenti spegniamo in loro le speranze». Edith Bruck, 91 anni, ripercorre la sua vita di testimone della Storia che ha cesellato in tanti bestseller. L'ultimo entra nel vivo di una amicizia speciale, quella con il Pontefice (Sono Francesco, La Nave di Teseo).


Quale messaggio possono trarre i ragazzi da questa storia?
«Che l'amicizia è la chiave della gioia. A volte è quasi più importante della parentela. Personalmente evito la parola felicità che riguarda una sensazione momentanea. Molto meglio parlare di gioia. Una condizione profonda che ci accompagna quando troviamo persone meravigliose sul nostro cammino. Le vere amicizie: qualcuno che ci comprende dopo un solo sguardo e già sappiamo che quella amicizia andrà avanti per tutta la vita».
Lei riesce a trasmettere questo messaggio ai ragazzi?
«Confesso che a volte mi sento a disagio quando descrivo quello che ho visto nei campi di sterminio. Buttare loro in faccia questo macigno senza accompagnarlo da un filo di luce significa rappresentare un mondo tenebroso. E non va bene. Naturalmente la memoria storica va trasferita anche perché la scuola è lacunosa. Al contempo non va dimenticato che bisogna accarezzare di più l'anima e il cuore delle nuove generazioni, aiutarle a credere nell'umanità».
Per lei la luce cosa è stata?
«In tutti i miei libri parlo delle cinque luci che ho incontrato durante la prigionia. Chiamiamole cinque minuscole pietà. Che cosa significavano in quelle condizioni e in quelle circostanze? Il Papa ha capito che riguardavano la fiducia nel prossimo e nel futuro. La prima luce fa riferimento a quando sono stata destinata a destra e non a sinistra nello smistamento degli ebrei. È così che mi è stata data la possibilità di sopravvivenza. A mia madre fu detto di andare a sinistra e per questo morì nei forni crematori. La seconda luce quando un cuoco a Dachau mi ha chiesto: Come ti chiami?. Una domanda banale ma quelle tre parole, quando sei rapata a zero, a piedi nudi in un paio di zoccoli, con un numero 11152 - che ti identifica, assumono un peso quasi salvifico. In quel momento voleva dire che ero ancora un essere umano, c'ero. Quell'uomo si è poi avvicinato e ha aggiunto: ho una bambina come te. E poi ha tirato fuori dal taschino un pettinino e me lo ha regalato. Io avevo i capelli rasati. Era surreale. Papa Francesco quando mi è venuto a trovare mi ha ripetuto quel gesto».
In che senso?
«Mi ha detto: Edith avrei voluto essere io quel cuoco. Poi ha mimato lo stesso atto, facendo finta di allungarmi un pettinino immaginario. È stata una cosa incredibile. Poetica. Mi ha colpito la sua empatia».


L'incontro personale col Papa, i vostri colloqui, le attenzioni e gli scambi che cosa significano?
«Ci siamo donati reciprocamente tanto. Lui però ha dato molto più di me: già il fatto di essere venuto qui a casa mia e non io a Santa Marta. Naturalmente ero pronta ad andare in Vaticano, in udienza, quando ho saputo che desiderava conoscermi. Lui però ha insistito e questo non è un aspetto secondario. Voleva far sapere a mezzo mondo che andava a casa di una ebrea sopravvissuta. Francesco ha diffuso un messaggio di dialogo e vicinanza al mondo ebraico. La prima cosa che ha detto entrando è stata una richiesta di perdono per quello che era accaduto agli ebrei. Se non ci fosse stata una persecuzione ebraica millenaria da parte della Chiesa, gli ebrei non sarebbero finiti ad Auschwitz».

 


Nel libro c'è anche una poesia che si intitola educazione
«Questa poesia la stavo finendo quando è venuto il Papa a trovarmi. Mi ha chiesto a cosa stessi lavorando. Poesie, Santità, ho risposto. Me ne fa leggere qualcuna?. A lui è piaciuta subito e quando è uscito mi ha chiesto una fotocopia e se l'è portata via».

 

 

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Il Messaggero