Roma – Se non è stata una beatificazione è qualcosa che si è avvicinata molto. La figura di Giulio Andreotti tratteggiata nel libro della Lev - I miei...
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«Nella mia azione politica ho fatto qualche sgambetto e ho nutrito ambizioni» scriveva negli ultimi giorni di vita Andreotti, implorando i familiari, la moglie, i figli e i nipiti a non nutrire mai sentimenti di rancore o vendetta. «Non ho mai avuto a che fare con la mafia e con l’omicidio Pecorelli e ora che sto per partire desidero andarmene dicendovi che la mafia la ho combattuta con atti pubblici». Aggiungeva che i giudici, con il tempo, avranno il compito di appurare questo aspetto e che ignorava chi fosse dietro a le calunnie. «Forse questi anni di sofferenze e calunnie servono a bilanciare un corso di vita tutto favorevole, sarebbe ingiusto avere lo stesso premio eterno dei poveri che affollano le chiese e chiedono aiuto che non sempre possiamo dare loro. Sono sereno e non porto rancore nei confronti di chi muove questa macchina calunniosa».
L’incontro al Senato si è aperto con un intervento di Angelo Chiorazzo, fondatore della cooperativa Auxilium. «Ricordarlo qui non è nostalgia del passato, ma non si può costruire il futuro della nostra società senza la memoria» ha detto ricordando che la libertà di cui godiamo «la si deve a figure come De Gasperi e Andreotti». Un giudizio che è stato condiviso dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei e da Gianni Letta che, chiudendo, si è lasciato andare ad una invocazione: «Che oggi la Madonna aiuti qualcuno a guarire l’Italia e l’Europa».
Proprio oggi, la signora Rosita Pecorelli, la sorella del giornalista assassinato nel 1979 - ha depositato alla Procura a Roma, assistita dall’avvocato Valter Biscotti, una istanza per chiedere la riapertura dell’indagine sull’omicidio.
La donna, oggi 84enne, chiede ai pm di avviare nuovi accertamenti balistici su alcune armi che furono sequestrate a Monza nel 1995 ad un soggetto in passato esponente di Avanguardia Nazionale. Si tratta, tra le altre, di una pistola Beretta 765 e quattro silenziatori artigianali. Nella richiesta si fa riferimento anche ad una dichiarazione che l’estremista di destra Vincenzo Vinciguerra fece nel 1992 allora giudice istruttore Guido Salvini. Vinciguerra - informa l'Ansa - sosteneva di aver sentito un dialogo in carcere tra due militanti di estrema destra in cui si affermava che l’uomo poi arrestato tre anni dopo a Monza aveva in custodia la pistola usata per uccidere il giornalista.
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Il Messaggero