Vinicio Marchioni protagonista a Orvieto: «Porto la pazzia di Campana a teatro anche grazie alla tv e con Cechov racconterò l'Italia post sisma»

Vinicio Marchioni
ORVIETO - «Avrei potuto fare molti più spettacoli teatrali “commerciali” ma ho scelto di sfruttare la popolarità che mi ha dato la tv per far...

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ORVIETO - «Avrei potuto fare molti più spettacoli teatrali “commerciali” ma ho scelto di sfruttare la popolarità che mi ha dato la tv per far conoscere a un pubblico più ampio possibile autori come Cechov o Dino Campana». Ed è proprio l’incredibile vita del “poeta pazzo” che Vinicio Marchioni porta in scena domenica al Mancinelli di Orvieto con “La più lunga ora” insieme alla moglie Milena Mancini e alla musica di Ruben Rigillo. E' il primo spettacolo scritto dal 45enne attore romano, nel 2008, mentre l’ultima “fatica” a settembre lo porterà a raccontare l’Italia - e l’Umbria - post terremoto attraverso le parole di Cechov. 

Come nasce questo omaggio a Campana?
«Confrontando varie biografie su di lui la cosa incredibile era capire dove finiva la cronaca e dove iniziava la mitologia. Si narrava dei suoi viaggi a Costantinopoli con una tribù di zingari, in Argentina e Sud America entrando e uscendo dai manicomi. La cosa che mi commuoveva era capire come una persona che ha viaggiato così tanto abbia potuto vivere gli ultimi 14 anni della sua vita in un manicomio. Attraverso la sua memoria, che gli aveva consentito di riscrivere interamente il manoscritto che aveva perso, raccontiamo la sua vita».
Nello spettacolo Campana ripete “solo se mi pubblicate io esisto”. Oggi soprattutto i giovani credono di “esistere” solo avendo qualche like in più sui social.
«Credo che per un artista il concetto di identità sia naturale, ci si sente di esistere solo se si viene riconosciuti per quello che si fa. Beckett diceva che vivere significa essere percepiti. Il grado di percezione sui social è però filtrato, nessuno è solamente se stesso ma quello che vuole essere. Oggi poi si è sovrapposta l’idea di identità a quella del successo e non è la stessa cosa». 
Il continuo rimando al personaggio del “Freddo” interpretato nella serie tv di successo “Romanzo Criminale” comincia a infastidirti. Eppure i cartelloni delle stagioni teatrali, come a Orvieto, strizzano l’occhio agli attori di cinema e tv per avvicinare pubblico.
«A me non infastidisce la popolarità arrivata dalla serie tv, anzi. Mi infastidisce che nelle interviste e nei titoli di giornale finisca per mangiarsi tutto il resto di cui si parla, 20 anni di carriera, premi e il mio impegno nel fare un certo tipo di scelte teatrali che oggi veicolo attraverso la popolarità che mi ha dato la tv». 
Ad inizio carriera uno dei tuoi riti per esorcizzare l’ansia da palcoscenico era osservare i Fori Imperiali dal Campidoglio. Da romano cosa provi quando senti le intercettazioni del sindaco Raggi che si affaccia alla finestra e vede “merda”.
«Preferisco parlare di quello che possiamo fare noi per questa città. Molto della crisi di Roma dipende dall’atteggiamento di una parte dei romani che tratta male questa città mentre dovremmo essere i primi noi ad amarla». 
Il tuo rapporto con l’Umbria?
«Meraviglioso, ho fatto tanti spettacoli qui a inizio carriera e mi ha portato sempre fortuna».
Prossimi progetti?

«Sto finendo di girare il film di Donato Carrisi “L’uomo del labirinto” e subito dopo mi metterò al montaggio del documentario realizzato durante la tournée dello spettacolo "Zio Vanja" dove abbiamo visitato le zone colpite dal terremoto del 2016 e dove il racconto di Cechov si sovrapporrà al racconto dell’Italia post sisma. Contiamo di presentarlo al festival di Venezia». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero